La legge applicabile alla separazione e al divorzio

Il regolamento n. 1259/2010 (“Roma III”) stabilisce norme di conflitto uniformi volte a designare il diritto applicabile ai procedimenti di separazione personale e divorzio.
Il regolamento potenzia l’autonomia delle parti, riconoscendo una limitata possibilità di scelta della legge applicabile. La scelta informata di entrambi i coniugi rappresenta un principio essenziale del regolamento (considerando n. 18). In caso di mancata scelta, il regolamento prevede norme di conflitto che impiegano criteri di collegamento in concorso successivo (c.d. “a cascata”).
Il considerando 10 sancisce l’esigenza di coerenza, tanto nel campo di applicazione ratione materiae quanto nella disciplina, del regolamento Roma III con il regolamento n. 2201/2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale (“Bruxelles II bis”). Il medesimo considerando precisa, tuttavia, che il regolamento Roma III dovrebbe applicarsi esclusivamente all’allentamento o allo scioglimento del vincolo matrimoniale, e che la legge richiamata dovrebbe disciplinare le cause del divorzio e della separazione personale.
Ai sensi dell’articolo 1, par. 2, il regolamento esclude dal proprio campo di applicazione materiale, anche qualora si presentino come questioni preliminari, la capacità giuridica delle persone fisiche; l’esistenza, la validità e il riconoscimento matrimonio; l’annullamento di un matrimonio; il nome dei coniugi; gli effetti patrimoniali del matrimonio; la responsabilità genitoriale; le obbligazioni alimentari; i trust o le successioni.

La cooperazione rafforzata

Il regolamento è il risultato di una cooperazione rafforzata, meccanismo previsto dal diritto dell’Unione europea che consente ad un numero ristretto di Stati membri di adottare un atto normativo europeo nonostante sia richiesta a tal fine l’unanimità (è questo il caso di atti normativi dell’UE nel settore della cooperazione giudiziaria in materia familiare, ai sensi dell’art. 81, par. 3, del TFUE). Un atto adottato all’esito di una cooperazione rafforzata si applica ai soli Stati membri che vi hanno partecipato, con possibilità di adesioni successive (art. 328 TFUE). Ad oggi, pertanto, il regolamento Roma III si applica a 17 Stati membri (c.d. “Stati partecipanti”): Austria, Belgio, Bulgaria, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna e Ungheria.

Norme di conflitto “universali” (erga omnes)

Le norme di conflitto contenute nel regolamento hanno carattere universale (art. 4). Con ciò si intende la loro idoneità a determinare l’applicazione tanto del diritto sostanziale di Stati membri partecipanti quanto di quello di uno Stato nel quale il regolamento non sia applicabile, siano questi Stati membri non partecipanti alla cooperazione rafforzata o Stati terzi.

Scelta di legge (art. 5)

I coniugi potranno indifferentemente designare, tramite accordo:
a) la legge dello Stato della residenza abituale dei coniugi al momento della conclusione dell’accordo; o
b) la legge dello Stato dell’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora al momento della conclusione dell’accordo; o
c) la legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza al momento della conclusione dell’accordo; o
d) la legge del foro.

La nozione di residenza abituale dei coniugi non è espressamente definita dal regolamento; essa dovrà quindi essere interpretata in modo autonomo e uniforme avuto riguardo tanto delle finalità che l’atto si prefigge quanto del contesto in cui il medesimo viene applicato. In assenza di una definizione fornita dalla Corte di giustizia, è utile la giurisprudenza relativa alla residenza abituale del minore che ne dà un’interpretazione basata sulle circostanze di fatto. Pertanto, secondo la Corte di cassazione la residenza abituale dei coniugi deve essere intesa quale luogo in cui l’interessato ha fissato con carattere di stabilità il centro permanente ed abituale dei propri interessi e relazioni, sulla base di una valutazione sostanziale, non meramente formale ed anagrafica (Cassazione civile, sez. un., 17 febbraio 2010, n. 3680). L’ultima residenza abituale dei coniugi potrà invece essere individuata, anche sulla base di presunzioni semplici, nella dimora abituale di tutti i componenti la famiglia (Cassazione civile, sez. VI, 28 febbraio 2013, n. 5108).

Il momento della scelta di legge applicabile

L’art. 5, par. 3, del regolamento, prevede che l’accordo di scelta della legge applicabile deve essere concluso “al più tardi nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale, oppure nel corso del procedimento, se ciò sia ammesso dalla legge del foro”.

Benché nell’ordinamento italiano non si rinvenga una precisa disposizione normativa in merito a tale aspetto, la giurisprudenza di merito ha chiarito che la scelta della legge applicabile, da qualificarsi come negozio di diritto processuale, può avvenire fino al momento in cui alle parti è consentito integrare le proprie domande (art. 709, comma 3, cod. proc. civ.), momento che – in caso di trasformazione del giudizio da contenzioso a consensuale – coincide con l’udienza di precisazione delle conclusioni. L’accordo di scelta della legge straniera, in particolare, è da ritenersi ammissibile anche se formato successivamente all’instaurazione della lite, in virtù dei principi generali del giusto processo e dell’ammissibilità di negozi processuali (Trib. Milano, 10 febbraio 2014).

Validità sostanziale dell’accordo di scelta di legge (art. 6)

L’esistenza e la validità dell’accordo dovranno essere stabilite in base alla legge che sarebbe applicabile in virtù del regolamento se l’accordo fosse valido. Qualora non fosse ragionevole stabilire l’effetto del suo comportamento secondo tale legge, l’esistenza del consenso di uno dei coniugi potrà comunque essere valutata secondo la legge dello Stato della residenza abituale nel momento in cui l’autorità giurisdizionale è adita.

Validità formale dell’accordo di scelta di legge (art. 7)

L’accordo dovrà essere redatto in forma scritta, datato e firmato da entrambi i coniugi. A tal fine è ammessa qualsiasi comunicazione elettronica che permetta una registrazione durevole dell’accordo. Requisiti di forma supplementari potranno essere applicati se previsti dalla legge dello Stato della residenza abituale di entrambi o di uno dei coniugi.

Criteri oggettivi: la legge applicabile in mancanza di scelta (art. 8)

L’articolo 8 prevede una serie di criteri di collegamento in concorso successivo tra loro.

La residenza abituale dei coniugi

Ai sensi delle lettere a) e b) il divorzio e la separazione personale sono disciplinati dalla legge dello Stato della residenza abituale dei coniugi nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale o, in mancanza dell’ultima residenza abituale dei coniugi sempre che tale periodo non si sia concluso più di un anno prima che fosse adita l’autorità giurisdizionale, se uno di essi vi risiede ancora. 

La cittadinanza

Qualora non risultino applicabili i criteri stabiliti alla lettera a) e alla lettera b), alla lettera c) si prevede l’applicabilità della legge di cui i due coniugi sono cittadini nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale. L’accertamento della cittadinanza è rimesso alle disposizioni nazionali degli Stati.

Il considerando n. 22 del Regolamento precisa che spetta alla legislazione nazionale dei singoli Stati parte della cooperazione rafforzata disciplinare il caso di una pluralità di cittadinanze, nel rispetto dei principi generali dell’Unione europea. Nell’ordinamento italiano, ai sensi dell’articolo 19, comma 2, della legge n. 218 del 1995, di riforma del sistema di diritto internazionale privato,  è previsto che in caso di pluralità di cittadinanze “si applica la legge di quello tra gli Stati di  appartenenza  con  il  quale  [la persona] ha il collegamento  più stretto”. L’articolo 19, comma 2 della legge 218 del 1995 stabilisce inoltre che, qualora tra le cittadinanze vi sia quella italiana, quest’ultima prevale. Tale norma non trova tuttavia applicazione, perlomeno in riferimento a fattispecie circoscritte allo spazio giudiziario europeo, atteso che il divieto di discriminazione e la libera circolazione delle persone impongono di considerare egualmente le diverse cittadinanze degli Stati membri (sentenza 2 ottobre 2003, Causa C-148/08, Garcia Avello).

La legge del foro

In via residuale, ai sensi della lettera d) trova applicazione la legge dello Stato in cui è adita l’autorità giurisdizionale. In virtù dell’art. 10 sarà applicata la legge foro anche quando quella scelta ai sensi dell’art. 5 o individuata ai sensi dell’articolo 8, non preveda in alcuna forma il divorzio o non conceda a uno dei coniugi, perché appartenente all’uno o all’altro sesso, pari condizioni di accesso al divorzio o alla separazione personale. Con sentenza 16 luglio 2020, causa C-249/19, JE  la Corte di giustizia ha fornito alcuni chiarimenti sull’art. 10, affermando che in una situazione come quella di cui al procedimento principale, dove il diritto richiamato dalla norma di conflitto (quello italiano) contempla l’istituto del divorzio, il giudice adito non potrà applicare la legge del foro ai sensi della disposizione in menzione.

Di seguito si illustra il diritto sostanziale nel settore di divorzio e separazione di alcuni Paesi (Albania, Ucraina, Cina e Romania), che rappresentano le cittadinanze più comuni in Italia, che potrebbe venire in rilievo dinanzi al giudice italiano, richiamato dalle norme di conflitto applicabili di sopra menzionate. Indicazioni generali relative al diritto sostanziale degli Stati membri dell’UE nel settore della separazione e del divorzio sono accessibili anche a questo indirizzo.

ALBANIA

Il divorzio e la separazione dei coniugi nel diritto albanese sono regolati dal Codice della famiglia della Repubblica di Albania (disponibile qui in lingua originale e qui in una traduzione non ufficiale in lingua inglese).

Il divorzio può essere pronunciato solamente dall’autorità giudiziaria e può essere:

  1. consensuale: qualora la coppia coniugata desideri concordemente porre fine al rapporto coniugale (art. 125 ss.);
  2. non consensuale: qualora un coniuge desideri porre fine al rapporto coniugale, nel caso in cui:
    1. la coppia abbia vissuto separatamente per 3 anni (artt. 129 ss.);
    1. la vita coniugale sia divenuta impossibile a causa della ripetuta violazione degli obblighi coniugali, dovuti ad esempio a continui litigi, maltrattamenti, gravi insulti, adulterio, malattie mentali incurabili, condanne penali del coniuge (art. 132).

All’autorità giudiziaria albanese vengono riconosciuti poteri rilevanti nei procedimenti di scioglimento del matrimonio. In particolare:

– nel divorzio consensuale, il giudice, nell’omologare l’accordo di separazione, valuta se esso prevede adeguata tutela economica per un coniuge o il figlio (art. 129);

– nel divorzio non consensuale richiesto a seguito di separazione triennale, il giudice può negare il divorzio nel caso in cui il coniuge che si oppone al divorzio dimostri che lo scioglimento del matrimonio produrrebbe gravi conseguenze morali e materiali per sé o per la prole (art. 130).

UCRAINA

Il divorzio e la separazione dei coniugi nel diritto ucraino sono regolati dal capitolo 11 del Codice di famiglia del 2002 (disponibile qui in lingua originale; a questo indirizzo si può trovare un abstract in lingua inglese. Qui, invece, è disponibile una traduzione non ufficiale in lingua inglese).

La separazione può essere richiesta da uno o entrambi i coniugi nel caso in cui vi sia incapacità o mancanza della volontà di proseguire la convivenza. Tuttavia, durante la separazione, gli obblighi coniugali non si considerano sospesi e ci si può riconciliare in ogni momento (art. 119 ss.). Il divorzio, invece, scioglie definitivamente il vincolo matrimoniale.

Il divorzio in Ucraina può avvenire nelle seguenti modalità:

  1. Scioglimento del matrimonio dichiarato dall’ufficiale dello stato civile
    a) consensuale: qualora la coppia coniugata senza figli desideri concordemente porre fine al rapporto coniugale (art. 106);
    b) non consensuale: qualora un coniuge desideri porre fine al rapporto coniugale, nel caso in cui l’altro coniuge (art. 107):
    – sia scomparso;
    – sia (o divenga) incapace;
    – sia condannato ad una reclusione non inferiore a tre anni;
  2. Scioglimento del matrimonio dichiarato dall’autorità giudiziaria:
  3. consensuale: qualora la coppia coniugata con figli minori desideri concordemente porre fine al rapporto coniugale (art.109);
  4. non consensuale: qualora un coniuge desideri porre fine al rapporto coniugale. L’autorità giudiziaria, in questo caso, pronuncia il divorzio qualora accerti che la prosecuzione del rapporto e della convivenza non sia nel miglior interesse di uno degli sposi o della prole (art. 112).

La legge precisa che il divorzio non può essere pronunciato durante la gravidanza della moglie o nel corso del primo anno di vita del figlio, salvo il caso in cui uno dei coniugi abbia tenuto comportamenti illeciti nei confronti dell’altro coniuge o del figlio (art. 110).

CINA

Il divorzio in Cina, sino a poco tempo fa, era regolato dalla Legge matrimoniale, adottata il 10 settembre 1980 dall’Assemblea Popolare Nazionale e modificata il 28 aprile 2001. Il testo in cinese è reperibile qui; una traduzione in inglese è disponibile qui.

Il 28 maggio 2020 la terza sessione dell’Assemblea Popolare Nazionale ha adottato il primo Codice civile della Repubblica Popolare Cinese. Dal 1° gennaio 2021, data di entrata in vigore del Codice, la Legge matrimoniale è stata abrogata. La disciplina sul divorzio è contenuta nella Parte V del Codice (qui un abstract in inglese e qui la versione in lingua originale).

Il divorzio secondo il nuovo Codice civile

Secondo il Codice civile il divorzio può avvenire nelle seguenti modalità:
– consensuale: emissione del certificato di divorzio da parte dell’Ufficio di registrazione, qualora le parti siano concordi, sottoscrivano un accordo di divorzio e compilino, ciascuno, una domanda di divorzio. La principale novità introdotta dal Codice civile consiste nella possibilità data a ciascun coniuge di ritirare la propria domanda entro il termine di 30 giorni dalla proposizione della stessa;
– giudiziale: il Tribunale del Popolo dovrà tentare la mediazione. Qualora il tentativo fallisca, e il Tribunale ritenga il vincolo matrimoniale irreparabilmente sciolto, pronuncia il divorzio.
Il marito non può proporre domanda di divorzio durante la gravidanza, o entro un anno dalla nascita del figlio o entro sei mesi dalla conclusione della gestazione. La restrizione non si applica qualora la moglie formuli richiesta di divorzio, o il Tribunale ritenga necessario accogliere la domanda formulata dal marito.

ROMANIA

In Romania, il divorzio è regolato dagli artt. 373 ss. del c.d. Nuovo Codice Civile, approvato con Legea n. 287/2009 ed entrato in vigore il 1° ottobre 2011 (disponibile qui in lingua originale). Diversamente dall’ordinamento italiano, tale Codice non prevede l’istituto della separazione legale.

Secondo il diritto rumeno, qualora sussista il consenso di entrambi i coniugi, questi possono chiedere direttamente il divorzio, che potrà essere dichiarato con provvedimento amministrativo, atto notarile o pronuncia giudiziale. In mancanza di consenso, il citato art. 373 prevede la possibilità che il divorzio sia dichiarato giudizialmente su richiesta di uno solo dei coniugi, qualora ricorra una delle seguenti condizioni alternative:

•            un grave deterioramento del rapporto di coniugio e l’impossibilità di continuare la vita matrimoniale;
•            una separazione di fatto che duri almeno da due anni;
•            stato di salute del coniuge richiedente che renda impossibile la continuazione del matrimonio.

In caso di divorzio con addebito, l’ex coniuge non in colpa ha diritto al risarcimento dei danni qualora il matrimonio sia durato almeno vent’anni.

Silvia Marino, Ilaria Aquironi, Omar Vanin, Arianna Vettorel

Nota – Questo documento è soggetto all’avvertenza riprodotta qui.