Con il termine maternità surrogata si definisce la pratica in cui una donna si obbliga contrattualmente a portare avanti una gravidanza per conto dei cd. genitori intenzionali o committenti. Viene così impiantato nel suo utero un embrione creato artificialmente mediante inseminazione o fecondazione in vitro di un ovocita di donatrice anonima (o della stessa madre surrogata o della madre committente) e del seme del padre intenzionale (o di donatore anonimo). Si distingue tra maternità surrogata tradizionale e maternità surrogata gestazionale a seconda che l’ovocita fecondato con seme del padre committente (o di donatore di gameti maschili) appartenga rispettivamente alla madre surrogata o a una donatrice anonima (o più raramente alla madre intenzionale). La madre surrogata si impegna altresì a rinunciare a qualsiasi diritto sul bambino al momento della nascita: il neonato viene affidato immediatamente ai genitori intenzionali e il rapporto di genitorialità legale viene quindi stabilito in favore di entrambi o del solo genitore intenzionale-genetico, in base alla normativa locale applicabile, secondo modalità giuridiche diverse (quali, ad esempio, il rilascio di un certificato di nascita o l’emissione di un provvedimento giurisdizionale successivo al parto che attesti la co-genitorialità della coppia committente sul bambino). La madre surrogata può agire a titolo gratuito (ricevendo soltanto un rimborso per le spese mediche sostenute, cd. maternità surrogata altruistica) o a titolo oneroso (percependo un compenso, cd. maternità surrogata commerciale). A causa dei rischi di sfruttamento della madre surrogata e dei pericoli legati al traffico di minori, tale tecnica procreativa è oggetto di accesi dibattiti sul piano etico-giuridico. Essa è variamente disciplinata a livello statale: in alcuni ordinamenti è ammessa, in altri è vietata, in altri ancora è meramente tollerata, senza essere in alcun modo disciplinata. L’ordinamento italiano vieta e sanziona penalmente qualsiasi ricorso alla maternità surrogata (art. 12, 6° comma, legge n. 40/2004 recante norme sulle tecniche di procreazione medicalmente assistita). Le profonde divergenze normative esistenti a livello statale circa l’ammissibilità e la regolamentazione della maternità surrogata, oltre all’assenza di norme uniformi a livello internazionale, spingono sempre più coppie e singoli a recarsi all’estero al fine di realizzare ivi il proprio progetto parentale, allorquando quest’ultimo è vietato o anche soltanto disciplinato più severamente nello Stato di appartenenza (cd. “turismo procreativo”). Nella prospettiva internazionalprivatistica, l’istituto della maternità surrogata viene in rilievo rispetto alla domanda di riconoscimento dello status filiationis del minore nato all’estero a seguito di maternità surrogata proposta nello Stato di origine dei genitori intenzionali, quando nello Stato richiesto tale pratica è vietata o regolata con condizioni più stringenti rispetto alla normativa applicata nello Stato di nascita. La questione può chiamare in causa diverse norme di diritto internazionale privato a seconda che lo status di figlio sia contenuto in provvedimenti stranieri di natura amministrativa (certificato di nascita straniero) e/o giudiziaria (provvedimento con cui si attribuisce prima o dopo la nascita la co-genitorialità legale a entrambi i genitori intenzionali a prescindere dal legame genetico di questi ultimi con il minore: es. parental order del Regno Unito). Sul punto, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa in diverse occasioni a partire dal 2014. È ormai consolidato il principio di diritto enunciato nelle cause “gemelle” Mennesson c. Francia e Labassee c. Francia (2014), ove la Corte ha riscontrato la violazione del diritto all’identità personale (art. 8 CEDU) dei minori nati all’estero a seguito di maternità surrogata in relazione al rifiuto opposto dalle autorità francesi di trascrivere i certificati di nascita di questi ultimi laddove uno dei genitori intenzionali (il padre) sia anche il genitore genetico dei minori. Tale principio, enunciato rispetto a una coppia di cittadini francesi, eterosessuali e regolarmente coniugati in Francia, è stato poi applicato anche in altri casi (Foulon e Bouvet c. Francia; Laborie c. Francia). Più di recente, nel primo parere consultivo reso dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo il 10 aprile 2019 in forza del Protocollo 16 allegato alla CEDU, la Corte ha affrontato il profilo della tutela convenzionale della domanda di riconoscimento della responsabilità genitoriale legale in favore della madre intenzionale-non genetica. La Grande Camera ha stabilito che gli Stati contraenti sono tenuti a offrire la possibilità di un riconoscimento dello status del genitore meramente intenzionale, secondo modalità discrezionalmente determinate dall’ordinamento interessato, purché rispettose dei requisiti di tempestività e effettività. Tale principio di diritto, non vincolante né per lo Stato richiedente né per gli Stati che hanno ratificato il Protocollo, è stato successivamente applicato dalla Corte di Strasburgo in due recenti pronunce, rese anch’esse nei confronti della Francia. Occorre rilevare infine che nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia (2015), la Corte, per motivi meramente procedurali (il mancato esaurimento dei ricorsi di diritto interno) non si è pronunciata sulla questione della compatibilità con la Convenzione del diniego di riconoscimento opposto dalle autorità italiane rispetto alla nascita in Russia di un minore nato da maternità surrogata e “doppia eterologa”, ossia non legato geneticamente a nessuno dei due genitori intenzionali (coppia italiana eterosessuale e sposata). Dopo alcune pronunce più risalenti sul riconoscimento in Italia del rapporto di filiazione straniero derivante da maternità surrogata, la giurisprudenza italiana sul tema sembra aver sviluppato due diverse linee di tendenza. Da un lato, in forza degli obblighi di tutela sanciti dall’art. 8 della CEDU derivanti dal principio Mennesson c. Francia e Labassee c. Francia, l’ordinamento giuridico italiano riconosce il rapporto di filiazione in questione rispetto al solo genitore genetico (ossia il partner maschile di una coppia eterosessuale o omosessuale). Dall’altro, esso nega, per contrasto con l’ordine pubblico, il riconoscimento dello status parentale con il genitore intenzionale-non biologico (ossia il partner maschile o femminile di una coppia omosessuale o eterosessuale), imponendo, in via alternativa, al genitore intenzionale la possibilità di ricostituire in Italia il proprio legame parentale attraverso la domanda all’autorità giudiziaria italiana dell’adozione in casi particolari ai sensi dell’art. 44, lett. d, della legge n. 184/1983 (Cass., sez. un., sentenza 8 maggio 2019, n. 12193). Tale posizione resta tuttora invariata nonostante le questioni di legittimità costituzionale proposte dinanzi alla Corte Costituzionale italiana con ordinanza della Corte di cassazione del 29 aprile 2020. La Corte Costituzionale infatti si è pronunciata con sentenza n. 33/2021 ove ha dichiarato infondate le questioni sollevate invitando contestualmente il legislatore italiano a statuire quanto prima in materia. |
Premessa
La questione del riconoscimento (nello Stato di origine dei genitori intenzionali) dello status filiationis creato all’estero a seguito di maternità surrogata è connessa alla varietà legislativa nazionale sull’ammissibilità e sulle condizioni di ricorso alla pratica: in alcuni ordinamenti è ammessa (surrogacy-friendly jurisdictions), in altri è vietata (talora anche penalmente: ex. in Italia, art. 12, 6° comma, legge 40/2004), in altri ancora è meramente tollerata, senza essere disciplinata.
Nel contesto europeo, il funzionamento delle diverse norme di diritto internazionale privato che vengono in rilievo ai fini del riconoscimento del titolo giuridico straniero sopra evocato è inoltre condizionato dall’esigenza di rispettare i vincoli derivanti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) in relazione, in particolare, al diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU), la cui tutela è stata considerata essenziale ai fini della salvaguardia della continuità transfrontaliera dello status del minore.
La giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani
– La Corte di Strasburgo, nelle sentenze gemelle Mennesson e Labassee c. Francia del 2014 ha stabilito l’obbligo per gli Stati contraenti di riconoscere lo status di figlio nato legittimamente all’estero a seguito di maternità surrogata in forza del diritto al rispetto della vita privata sancito dall’art. 8 CEDU (ma non anche del diritto al rispetto della vita familiare), atteso che tale prerogativa implica il diritto di ogni individuo di stabilire i dettagli della propria identità di essere umano, ivi compreso il rapporto di filiazione. Pur riconoscendo un ampio margine di apprezzamento discrezionale ai singoli Stati sul tema della gestazione per altri, la Corte ha ravvisato il superamento del suddetto margine nel difetto di riconoscimento giuridico del rapporto di filiazione tra il nato e il padre intenzionale allorquando quest’ultimo sia anche il padre biologico.
– La Corte ha ribadito il principio Mennesson/Labassee nel successivo caso Laborie c. Francia (2017) nonché al di fuori del contesto di un matrimonio eterosessuale, stabilendo il riconoscimento di un rapporto parentale creato in India a seguito di maternità surrogata (solo) a favore del padre genetico, cittadino francese. I certificati di nascita stranieri indicavano la madre surrogata indiana come madre legale dei minori (2018, Foulon e Bouvet c. Francia)
– Nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia, la Corte si è confrontata con la questione della compatibilità con la CEDU del rifiuto opposto dalle autorità italiane di trascrivere nei registri di stato civile il certificato di nascita straniero di un minore nato a Mosca a seguito di maternità surrogata gestazionale (commerciale), per contrarietà all’ordine pubblico italiano, e il conseguente allontanamento del minore dai genitori committenti (con dichiarazione di stato di adottabilità del minore). In tale vicenda i genitori intenzionali, cittadini italiani eterosessuali e sposati in Italia, non erano geneticamente collegati al bambino, essendo stato quest’ultimo concepito in Russia con fecondazione “doppiamente eterologa”, cioè con gameti maschili e femminili provenienti da donatori anonimi. La coppia aveva altresì simulato, inizialmente, una filiazione naturale al rientro in Italia al fine di ottenere i documenti del minore e la registrazione del certificato di nascita straniero. Non potendosi pronunciare sulla domanda relativa alla riconoscibilità del rapporto di filiazione in Italia per motivi strettamente procedurali, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa quindi, sulla seconda doglianza del ricorso. Con una prima decisionedella seconda sezione della Corte (sentenza, 27 gennaio 2015) ha ritenuto che la misura di allontanamento del minore dai genitori committenti costituisse una violazione dell’art. 8 della CEDU (del diritto al rispetto della vita privata del minore). Successivamente, con pronuncia della Grande Camera, (sentenza 24 gennaio 2017) valorizzando la breve durata della permanenza del minore con i genitori intenzionali, ha escluso la violazione del suddetto obbligo convenzionale, ritenendo che le autorità italiane avessero operato un corretto bilanciamento degli interessi in gioco.
– Più di recente è intervenuto in materia il parere consultivo della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, reso per la prima volta sulla base del Protocollo n. 16 allegato alla CEDU (parere 10 aprile 2019). La domanda era stata sollevata dalla Cour de Cassation francese in relazione al caso Mennesson, rispetto alla riconoscibilità dello status filiationis creato all’estero nei confronti della madre intenzionale-non genetica. La Grande Camera ha precisato che il diritto del bambino al rispetto della vita privata richiede, da un lato, che la legislazione nazionale consenta la possibilità (non un obbligo generale) di riconoscere una relazione genitore-figlio con la madre intenzionale, ma, dall’altro, non impone che tale riconoscimento assuma necessariamente la forma della trascrizione nel registro di stato civile del certificato di nascita emesso all’estero (così come previsto, invece, per il padre intenzionale biologico). L’art. 8 CEDU impone che, nel superiore interesse del minore, da accertare in concreto, sia garantito il riconoscimento del legame stabilito legalmente all’estero almeno quando esso sia diventato una “practical reality” (parere. par. 52). In tale ipotesi il rapporto con la madre intenzionale può essere costituito in modo separato, attraverso la domanda di adozione del bambino; occorre tuttavia che la procedura stabilita dalla legislazione nazionale possa essere attuata tempestivamente ed efficacemente. Il parere consultivo reso dalla Corte EDU su richiesta della Corte di cassazione francese non è vincolante, come espressamente stabilisce l’art. 5 del Protocollo n. 16 alla CEDU: né per lo Stato richiedente, né a fortiori per gli altri Stati, tanto meno per quelli – come l’Italia – che non hanno ratificato il protocollo in questione. Tale parere è stato accolto in pronunce successive, adottate in sede contenziosa dalla Corte EDU (sentenza 16 luglio 2020, D. contro Francia; decisione 19 novembre 2019, C. contro Francia ed E. contro Francia).
La giurisprudenza italiana
– La sentenza della Corte d’appello di Bari, 13 febbraio 2009 (App. Bari, 13 febbraio 2009), ha affrontato per la prima volta la questione del riconoscimento in Italia di uno status filiationis creato all’estero a seguito di maternità surrogata. Essa ha imposto il riconoscimento del rapporto parentale di due minori nati nel Regno Unito in favore della madre intenzionale italiana, chiarendo che, ai fini della dichiarazione di efficacia in Italia dei “parental orders” emessi nel Regno Unito, il divieto legislativo odierno (non applicabile, ratione temporis, quando i minori in questione erano nati) della maternità surrogata e il principio della prevalenza della maternità “biologica” su quella “sociale”, non sono, di per sé, indici di contrarietà all’ordine pubblico. Inoltre, deve darsi priorità all’interesse superiore del minore (art. 3 Convenzione sui diritti dell’infanzia e adolescenza).
– Numerosi sono stati i provvedimenti relativi allo status dei figli nati all’estero da contratti di surroga di maternità conclusi da cittadini italiani.
– Con la sentenza della Corte di Cassazione n. 24001/2014, la Suprema Corte, ha confermato lo stato di adottabilità di un bambino nato in Ucraina da madre surrogata e non geneticamente legato a nessuno dei genitori committenti (coppia eterosessuale sposata, di cittadinanza italiana) ed ha negato il riconoscimento in Italia dello status filiationis per contrasto con l’ordine pubblico (par. 3.1: “Il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è certamente di ordine pubblico, come suggerisce già la previsione della sanzione penale, di regola posta appunto a presidio di beni giuridici fondamentali. Vengono qui in rilievo la dignità umana – costituzionalmente tutelata – della gestante e l’istituto dell’adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto perché soltanto a tale istituto, governato da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori, e non al mero accordo delle parti, l’ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato”).
– La stessa Corte Costituzionale italiana ha sottolineato che la pratica della maternità surrogata «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane» (sentenza n. 272 del 2017).
– Più recentemente, la tendenza giurisprudenziale appare duplice. Da un lato, rispetto al riconoscimento dello status di figlio rispetto al genitore biologico, la prassi si è adeguata alle direttive di tutela imposte dalla Corte di Strasburgo sopra evocate. Dall’altro, persiste l’atteggiamento di chiusura nei confronti del riconoscimento del rapporto parentale rispetto al genitore intenzionale-non biologico per ragioni di ordine pubblico legate al disvalore riconosciuto dal nostro sistema normativo all’istituto della maternità surrogata.
– Infatti, nella sentenza n. 12193/2019, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno negato il riconoscimento, per contrasto con l’ordine pubblico, del provvedimento giurisdizionale canadese che attribuiva la co-genitorialità di due minori nati in Canada tramite maternità surrogata gestazionale in favore del genitore intenzionale-non biologico. Secondo le Sezioni Unite, infatti, il divieto della maternità surrogata stabilito dalla legge n. 40/2004 deve essere inteso come principio di ordine pubblico, essendo quest’ultimo posto a presidio di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante, costituzionalmente tutelata, e l’istituto dell’adozione, garantito con legge ordinaria (n. 184/1983), il quale rappresenta, allo stato, l’unico strumento idoneo in Italia a stabilire un rapporto di filiazione in situazioni in cui manchi qualsiasi legame biologico tra il minore interessato e i genitori. La tutela di tali valori, ritenuti prevalenti sull’interesse concreto dei minori coinvolti, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, non escluderebbe, tuttavia, secondo la Cassazione, la possibilità per il genitore non biologico di ricostituire in Italia il rapporto genitoriale intenzionale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44, 1° comma, lett. d), della legge n. 184/1983.
– Con ordinanza del 29 aprile 2020, la sezione prima civile della Corte di cassazione, ha dubitato della compatibilità del diritto vivente risultante dalla sentenza SS.UU. 12193/2019 con una pluralità di parametri costituzionali. La Suprema Corte così – in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, 1° comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della CEDU, agli artt. 2, 3, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, e all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – ha proposto questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, 6° comma, della legge n. 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), dell’art. 64, 1° comma, lett. g), della legge italiana di diritto internazionale privato (218/1995) e dell’art. 18 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile), «nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestione per altri (altrimenti detta “maternità surrogata”) del c.d. genitore d’intenzione non biologico».
– Con sentenza n. 33/2021 la Corte Costituzionale italiana ha dichiarato inammissibili le questioni sopra menzionate ma ha invitato contestualmente il legislatore italiano a intervenire quanto prima in materia così da realizzare, a livello normativo, il bilanciamento richiesto dai diversi interessi in gioco (par. 5.9: “Il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini nati da maternità surrogata – nel contesto del difficile bilanciamento tra la legittima finalità di disincentivare il ricorso a questa pratica, e l’imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori, nei termini sopra precisati – non può che spettare, in prima battuta, al legislatore, al quale deve essere riconosciuto un significativo margine di manovra nell’individuare una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e i principi in gioco. Di fronte al ventaglio delle opzioni possibili, tutte compatibili con la Costituzione e tutte implicanti interventi su materie di grande complessità sistematica, questa Corte non può, allo stato, che arrestarsi, e cedere doverosamente il passo alla discrezionalità del legislatore, nella ormai indifferibile individuazione delle soluzioni in grado di porre rimedio all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore”).
Ornella Feraci
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