L’ipoteca giudiziale basata su una sentenza straniera presuppone che questa sia munita di exequatur?

Le norme pertinenti

Ai sensi dell’art. 2818, 1° comma, del codice civile, è titolo per l’iscrizione di un’ipoteca giudiziale ogni sentenza che comporti la “condanna al pagamento di una somma o all’adempimento di altra obbligazione ovvero al risarcimento dei danni da liquidarsi successivamente”.

L’art. 2820 chiarisce che si può iscrivere ipoteca anche “in base alle sentenze pronunziate dalle autorità giudiziarie straniere”, ma solo dopo che ne sia stata “dichiarata l’efficacia dall’autorità giudiziaria italiana”. La norma fa salva l’ipotesi che “le convenzioni internazionali dispongano diversamente”. 

Il problema

Nella prassi, si sono fatte strada due opposte letture dell’art. 2820 del codice civile. 

Stando ad un primo orientamento, la norma deve ritenersi priva di qualsiasi portata pratica. L’efficacia in Italia delle sentenze straniere di condanna, si osserva, non dipende più da una dichiarazione giudiziale. Il principio del riconoscimento automatico delle sentenze straniere è infatti di applicazione generale: è stabilito da diverse convenzioni internazionali e misure legislative dell’Unione europea, e opera – in forza dell’art. 64 della legge n. 218 del 31 maggio 1995, e alle condizioni ivi previste – anche rispetto alle sentenze che non rientrano nella sfera applicativa di tali convenzioni e misure dell’Unione. Stando così le cose, la conservatoria dei registri immobiliari a cui sia chiesto di iscrivere un’ipoteca sulla base di una sentenza straniera dovrebbe dar corso alla richiesta senza esigere, sul fondamento dell’art. 2820 del codice civile, alcun requisito ulteriore. 

Secondo l’indirizzo opposto, l’iscrizione dell’ipoteca presupporrebbe comunque una dichiarazione giudiziale di efficacia della sentenza straniera in questione. È vero, si argomenta, che il principio del riconoscimento automatico vige oramai per l’insieme delle pronunce straniere; ma, chiedendo la costituzione dell’ipoteca, il creditore si propone di conseguire un effetto della sentenza che è quanto meno assimilabile all’esecuzione della stessa (M. Frigo, Diritti reali, in Diritto internazionale privato, a cura di R. Baratta, Milano, 2010, p. 122 s.). Ciò implica la necessità di vedere soddisfatte, prima di procedere all’iscrizione, le condizioni da cui dipende (non già genericamente il riconoscimento, quanto piuttosto) l’esecutività della sentenza in questione. Si potrà dunque far luogo all’iscrizione senza una previa dichiarazione giudiziale di efficacia della sentenza solo quando la pronuncia sia capace di spiegare in Italia i suoi effetti esecutivi senza bisogno di exequatur, ad esempio perché si tratta di una decisione certificata come titolo esecutivo europeo ai sensi del regolamento (CE) n. 805/2004 o perché, rientrando nella sfera di applicazione del regolamento (UE) n. 1215/2012, la pronuncia stessa risulti esecutiva in Italia – in forza dell’art. 39 di quest’ultimo regolamento – per il solo fatto di esserlo nello Stato membro di origine.

Analisi

Per risolvere il problema è bene ricordare che le sentenze, comprese quelle straniere, sono in grado di produrre, in linea di principio, due distinte categorie di effetti.

Vi sono, innanzitutto, gli effetti c.d. primari. Si tratta degli effetti che costituiscono l’oggetto della pronuncia, cioè, per intendersi, gli effetti perseguiti tramite la domanda posta all’origine della decisione: ad esempio, l’accertamento del credito vantato da Tizio nei confronti di Caio e il diritto dello stesso Tizio di agire in via esecutiva per l’attuazione della condanna di Caio a versargli 100.

Accanto agli effetti ora descritti, le sentenze possono produrre degli effetti c.d. secondari. Sono, questi, gli effetti che una sentenza può produrre – se così dispone una norma – per il fatto essere stata emessa: effetti ulteriori rispetto a quelli primari, che non nascono dalla decisione come atto di volontà e di imperio, ma dal fatto in sé della emanazione della decisione (se del caso, in presenza di altre condizioni, previste dalla norma che configura gli effetti stessi).

Rientra in questa seconda categoria di effetti l’attitudine della sentenza a fungere da titolo per la costituzione di un’ipoteca. Questo effetto non sorge perché l’attore l’ha sollecitato, o perché il giudice ha disposto che sorgesse. Sorge perché esiste una norma che ne ricollega l’insorgere all’emanazione di sentenze come quella di cui si discute.

Ebbene, le norme che regolano l’efficacia delle sentenze straniere si occupano degli effetti primari delle sentenze. Dicono, cioè, a quali condizioni le sentenze rese in uno Stato (lo Stato d’origine) sono abilitate a produrre in un altro Stato (lo Stato richiesto) gli effetti che da esse discendono in quanto decisioni, cioè in quanto atti processuali. È a questo fine, ad esempio, che l’art. 64 della legge n. 218/1995 indica all’art. 64 i presupposti per il riconoscimento delle sentenze straniere (la competenza c.d. internazionale del giudice dello Stato d’origine, la non contrarietà all’ordine pubblico, etc.), senza esigerne l’accertamento in giudizio; ed è sempre a questo fine che l’art. 67 della medesima legge subordina invece la “attuazione” delle sentenze straniere all’accertamento giudiziale di quei presupposti.

La disciplina degli effetti secondari va cercata altrove, precisamente nelle norme sostanziali incaricate di regolare tali effetti. Se si fa questione dell’ipoteca su un immobile sito in Italia, le norme pertinenti vanno identificate nelle norme sostanziali italiane relative all’ipoteca: l’art. 51 della legge n. 218/1995 prevede infatti che i diritti reali sui beni mobili e immobili, compresi dunque i diritti reali di garanzia, “sono regolati dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano”. Spetta dunque a loro stabilire se, e a quali condizioni, può essere attribuito a una sentenza straniera l’effetto (secondario) di fungere da titolo per iscrivere ipoteca. La disposizione pertinente è l’art. 2820 del codice civile: anche le sentenze straniere, se omologhe nell’oggetto (cioè negli effetti primari) a quelle italiane indicate all’art. 2818, sono ammesse a fare da base per la costituzione di un’ipoteca.

Accertata l’applicabilità dell’art. 2820 del codice civile, bisogna spostare l’analisi sulla sua interpretazione. Occorre infatti capire a quali condizioni, precisamente, la norma ammetta il prodursi dell’effetto in esame. Testualmente, come si è ricordato, deve trattarsi di una sentenza straniera di cui sia stata “dichiarata l’efficacia dall’autorità giudiziaria italiana”.

La disposizione, scritta in un’epoca in cui l’efficacia delle sentenze straniere era sistematicamente subordinata a una dichiarazione giudiziale di efficacia (sempre che non operassero in senso contrario delle convenzioni internazionali, non a caso espressamente fatte salve dallo stesso art. 2820), deve ora essere interpretata avendo riguardo al suo scopo e alla luce del mutato paesaggio normativo in cui opera.

Ciò che la norma esige è che la sentenza straniera sia efficace in Italia. Se ne capisce agevolmente il motivo: se tale condizione facesse difetto, la costituzione dell’ipoteca sarebbe, dal punto di vista sostanziale, priva di giustificazione. Ciò significa che l’art. 2820 del codice civile subordina il particolare effetto secondario in discussione alla circostanza che la decisione sia ammessa a produrre in Italia i suoi effetti primari.

Ma di quali effetti primari, precisamente, stiamo parlando? Quelli generali che si esprimono nel concetto di “riconoscimento”, o quelli specifici a cui rinvia il concetto di esecutività, ossia quelli che nel linguaggio dell’art. 67 della legge n. 218/1995 comportano la “attuazione” della sentenza? Sarebbe vano cercare la risposta nel tenore testuale dell’art. 2820 del codice civile: all’epoca in cui fu scritto, il regime della efficacia delle sentenze straniere non distingueva, infatti, tra riconoscimento ed esecutività, giacché subordinava l’insorgere dell’insieme degli effetti primari all’accertamento giudiziale dei presupposti di efficacia previsti dalla legge.

Nel contesto normativo di oggi, invece, la distinzione esiste e non si può fare a meno di tenerne conto. L’art. 2820 va dunque inteso nel senso che basta il riconoscimento (che si produce sempre automaticamente, sempre che sussistano i presupposti), o occorre anche l’esecutività (che richiede invece, salvo specifiche dispense, un passaggio giudiziale)? La risposta preferibile è la prima: gli effetti primari che la decisione straniera deve poter produrre perché da essa scaturisca l’effetto secondario contemplato dagli articoli 2818 e seguenti sono gli effetti compendiati nella nozione di riconoscimento. 

L’interpretazione opposta mal si concilierebbe con altri dati di contesto, egualmente utili a schiarire la lettura dell’art. 2820.

In primo luogo, l’iscrizione di un’ipoteca non è, in sé, un atto esecutivo, né del resto è trattata come tale dall’ordinamento: l’ipoteca attribuisce una garanzia al credito, ma non concorre di per sé alla sua attuazione. Non si vede dunque perché, per l’insorgere di effetti che non sono esecutivi, debba essere preteso il soddisfacimento di requisiti che l’ordinamento esige invece precisamente per l’esecuzione forzata.

In secondo luogo, è orientamento consolidato in giurisprudenza quello secondo cui la costituzione di un’ipoteca giudiziale ai sensi dell’art. 2818 del codice civile non esige che la decisione di cui trattasi sia esecutiva (v. in questo senso, fra le varie pronunce, Cass., 26 gennaio 1996, n. 584). Se l’esecutività non è, in generale, una condizione perché una sentenza italiana sia titolo ipotecario, non si capisce per quale ragione debba essere pretesa, agli stessi fini, l’esecutività delle sentenze straniere: queste ultime, una volta riconosciute, producono infatti nell’ordinamento italiano degli effetti primari del tutto omologhi a quelli che discendono dalle pronunce italiane.

L’interpretazione qui difesa, infine, è coerente a quella pacificamente e costantemente seguita, sulla scia di una circolare del Ministero della Giustizia (“Legge 31/5/1995 n. 218 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato. Istruzioni per gli uffici dello stato civile”, del 7 gennaio 1997), per i casi in cui le sentenze straniere in tema di status debbano essere trascritte, iscritte o annotate in pubblici registri in Italia: l’ufficiale di stato civile richiesto di tali formalità è tenuto a darvi corso senza pretendere che la sussistenza dei requisiti per l’efficacia delle predette sentenze sia stata accertata ai sensi dell’art. 67 della legge n. 218/1995.

Il principio appare agevolmente estensibile, con gli adattamenti del caso, alle formalità che competono alle conservatorie in tema di ipoteche.

La conclusione

Le considerazioni che precedono permettono di concludere, col conforto della dottrina maggioritaria (v. per tutti E. D’Alessandro, Il riconoscimento delle sentenze straniere, Torino, 2007, p. 112), che l’iscrizione di un’ipoteca giudiziale sulla base di una sentenza straniera presuppone soltanto, agli effetti dell’art. 2820 del codice civile, che la sentenza in questione sia riconoscibile in Italia. Non è invece necessario (e non può esigersi) che i presupposte per il riconoscimento di detta sentenza siano stati, per di più, accertati in giudizio.

Resta ferma, ai fini della iscrizione, la verifica delle condizioni di cui agli articoli 2836 e 2837 del codice civile, ossia la presentazione della copia del titolo (in copia autentica) e la legalizzazione dello stesso (ove non operi, per quest’ultimo requisito, una dispensa, o la legalizzazione sia sostituita dalla c.d. apostille).  Pietro Franzina

Nota – Questo documento è soggetto all’avvertenza riprodotta qui.