La residenza abituale del minore

La residenza abituale è il criterio generale impiegato dagli strumenti di cooperazione giudiziaria in materia civile dell’UE elaborati al fine di individuare l’autorità giurisdizionale competente a decidere su questioni riguardanti fattispecie in cui siano coinvolte persone di minore età (come la regolamentazione del diritto di visita del genitore non collocatario ai sensi del regolamento n. 2201/2003 o la determinazione delle obbligazioni alimentari nei confronti del figlio minorenne ai sensi del regolamento n. 4/2009).    Pur in assenza di una definizione espressa, la residenza abituale è da intendersi come nozione autonoma, da identificarsi guardando a tutti gli elementi del caso di specie. La Corte di giustizia dell’Unione ha fornito esemplificazioni ed elementi utili all’operatore giuridico per individuare la residenza abituale ai sensi dell’art. 8 del regolamento n. 2201/2003 in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale (“Bruxelles II bis”) con un duplice obiettivo: la garanzia del superiore interesse del minore, informato al criterio di prossimità, nonché l’applicazione uniforme ed efficace delle relative norme sulla giurisdizione su tutto il territorio degli Stati membri. La residenza abituale è anche impiegata in taluni strumenti di diritto internazionale privato uniforme elaborati in seno alla Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato, quali la Convenzione del 1980 sulla sottrazione internazionale di minori e la Convenzione del 1996 sulla responsabilità genitoriale e le misure di protezione dei minori: quest’ultima, in particolare, contiene norme di conflitto volte a designare la legge applicabile, che impiegano la residenza abituale quale criterio di collegamento generale.  

La residenza abituale di un minore ai sensi dell’art. 8 del regolamento n. 2201/2003 in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale (“Bruxelles II bis”).

Premessa

L’applicazione uniforme del diritto dell’UE e il principio di uguaglianza esigono che i termini in cui è formulata una disposizione di diritto dell’Unione che non contenga alcun rinvio espresso al diritto degli Stati membri al fine di determinare il suo senso e la sua portata, devono di norma ricevere, in tutta l’Unione, un’interpretazione autonoma e uniforme, da ricercarsi tenendo conto del contesto della disposizione stessa e dell’obiettivo perseguito dalla normativa di cui trattasi (sentenze 2 aprile 2009, causa C‑523/07, A, punto 34 e 22 dicembre 2010, Mercredi, C‑497/10 PPU, punto 45).

L’art. 8 del regolamento Bruxelles II bis stabilisce la regola generale di competenza in materia di responsabilità genitoriale: tale disposizione occupa il posto centrale nell’ambito delle regole di competenza dettate dal suddetto regolamento in questa materia (sentenza 17 ottobre 2018, causa C-393/18 PPU, UD, punto 55).

Gli obiettivi

Il criterio della residenza abituale contenuto nel regolamento è stato elaborato con l’obiettivo di rispondere all’interesse superiore del minore, privilegiando a tal fine il criterio della vicinanza, alla luce del considerando 12 del medesimo regolamento (sentenza 15 febbraio 2017, W, causa C‑499/15, punto 51).

Gli elementi per determinarla

– l’aggettivo “abituale” indica che la residenza deve presentare un certo carattere di stabilità o di regolarità (sentenza 22 dicembre 2010, Mercredi, C‑497/10 PPU, punto 44);

– deve sussistere quantomeno la presenza fisica del minore in uno Stato membro, a dimostrazione che tale presenza non ha carattere temporaneo o occasionale (sentenze 2 aprile 2009, A, causa C‑523/07, punto 38; 22 dicembre 2010, Mercredi, causa C‑497/10 PPU, punto 49; 9 ottobre 2014, C, causa C‑376/14 PPU, punto 51; 8 giugno 2017, OL, causa C‑111/17 PPU, punto 43; 28 giugno 2018, HR, causa C‑512/17, punto 41);

– oltre alla presenza fisica di quest’ultimo in uno Stato membro, altri elementi supplementari devono dimostrare che tale presenza non è in alcun modo temporanea o occasionale (sentenza 2 aprile 2009, A, causa C‑523/07, punto 38);

– la durata, la regolarità, le condizioni e le ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro e del trasloco della famiglia in tale Stato, la cittadinanza del minore, il luogo e le condizioni della frequenza scolastica, le conoscenze linguistiche nonché le relazioni familiari e sociali del minore nel detto Stato (sentenza 2 aprile 2009, A, causa C‑523/07, punto 39);

– l’ambiente sociale e familiare del minore, essenziale per la determinazione del luogo della sua residenza abituale, è composto di elementi diversi a seconda della sua età. Gli elementi da prendere in considerazione nel caso di un minore in età scolare differiscono da quelli di cui si deve tener conto quando si tratti di un minore che ha terminato gli studi o ancora da quelli che sono pertinenti in relazione ad un neonato (sentenza 22 dicembre 2010, Mercredi, causa C‑497/10 PPU, punto 53);

– l’ambiente di un minore in tenera età è essenzialmente l’ambiente familiare, determinato dalla persona o dalle persone di riferimento con le quali il minore vive, da cui è effettivamente accudito e che si prendono cura di lui (sentenza 22 dicembre 2010, Mercredi, causa C‑497/10 PPU, punto 54);

– laddove il neonato sia effettivamente accudito dalla madre, occorre valutare l’integrazione di quest’ultima con il suo ambiente sociale e familiare. A tal riguardo, possono essere presi in considerazione criteri quali le ragioni del trasferimento verso un altro Stato membro della madre del minore, le sue conoscenze linguistiche o ancora le sue origini geografiche e familiari (sentenza 22 dicembre 2010, Mercredi, causa C‑497/10 PPU, punto 55);

– l’intenzione del titolare della responsabilità genitoriale di stabilirsi con il minore in un altro Stato membro, manifestata attraverso iniziative tangibili, può costituire un indizio del trasferimento della residenza abituale: tuttavia, in assenza di tale presenza fisica, non può accordarsi un’importanza determinante all’elemento intenzionale (sentenza 17 ottobre 2018, causa C-393/18 PPU, UD);

– al fine di distinguere la residenza abituale da una mera presenza temporanea, essa deve, in linea di principio, essere di una certa durata per poter esprimere una stabilità sufficiente. Il regolamento, tuttavia, non prevede una durata minima. Infatti, per il trasferimento della residenza abituale nello Stato membro ospitante conta soprattutto la volontà dell’interessato di fissarvi, con l’intenzione di conferirgli carattere stabile, il centro permanente o abituale degli interessi. La durata di un soggiorno non può quindi fungere da indizio nell’ambito della valutazione della stabilità della residenza, dovendo tale valutazione essere effettuata alla luce di tutte le circostanze di fatto specifiche della fattispecie (sentenza 22 dicembre 2010, Mercredi, causa C‑497/10 PPU, punto 51);

– non hanno alcuna incidenza circostanze quali la coercizione esercitata dal padre sulla madre o la lesione dei diritti fondamentali della madre o del minore (sentenza 17 ottobre 2018, causa C-393/18 PPU, UD).

Ester di Napoli

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