Competenza giurisdizionale e risarcimento danni per illecito commesso online

by Francesco Angelini


Corte di Cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 6 luglio 2022, n. 21351, ECLI:IT:CASS:2022:21351CIV

La Suprema Corte a sezioni unite, con ordinanza n. 21351/2022 resa nell’ambito di un regolamento preventivo di giurisdizione, conferma alcuni capisaldi in tema di competenza giurisdizionale in ambito di illecito aquiliano commesso a mezzo web. La Corte ha dichiarato come la Convezione italo-russa di assistenza giudiziaria del 25 gennaio 1979 non contenga norme sulla competenza giurisdizionale; l’ordinanza individua inoltre, quale fonte applicabile al caso di specie, la Convenzione di Bruxelles del 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, a mezzo del rinvio di cui all’art. 3, co. 2 della legge n. 218/95; da ultimo, la decisione offre conferma al criterio di applicazione dell’art. 5 par. 1 n. 3) della Convenzione di Bruxelles per quanto riguarda l’interpretazione dell’espressione “evento dannoso”, da intendersi sia come danno-evento che, in alternativa, come danno-conseguenza.

Il procedimento

Il provvedimento in esame trae origine da un’azione promossa da una società di diritto italiano nei confronti di una società russa (con sede legale a San Pietroburgo) per ottenere il risarcimento dei danni derivanti da illecito extracontrattuale, concorrenza sleale parassitaria e violazione di diritti autorali e di privative industriali.
Più nello specifico, la società attrice deduceva di operare quale emittente televisiva in Italia e che spezzoni di alcuni programmi televisivi, recanti il proprio marchio, erano stati caricati da utenti privati sul sito internet della società convenuta, mettendoli a disposizione del pubblico e rendendoli oggetto di sfruttamento commerciale da parte di quest’ultima.
La società di diritto russo si costituiva in giudizio e proponeva regolamento preventivo di giurisdizione dinanzi alla Corte di cassazione, instando per il difetto della giurisdizione italiana in favore di quella russa, in forza del disposto di cui all’art. 24 co.1 lett. d) della Convenzione bilaterale italo-russa sull’assistenza giudiziaria in materia civile del 25 gennaio 1979, secondo cui il tribunale munito di competenza giurisdizionale è quello dello Stato sul cui territorio si è realizzato l’illecito civile di cui si chiede il ristoro.
In conseguenza di ciò – affermava la società russa – dal momento che i server che avevano consentito il caricamento dei video illeciti si trovavano in Russia, il giudice italiano avrebbe dovuto declinare la sua competenza in favore degli organi giurisdizionali della Federazione Russa.

La decisione

La Corte di cassazione, in conformità al parere espresso dal Procuratore generale, ha dichiarato invece la sussistenza della competenza giurisdizionale italiana.
Preliminarmente, risulta d’uopo premettere come la Repubblica Italiana e l’allora Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) stipularono a Roma in data 25 gennaio 1979 una convenzione internazionale bilaterale di assistenza giudiziaria, eseguita in Italia con legge 11 dicembre 1985, n. 766.
A seguito dello smembramento dell’Unione Sovietica, la Convenzione di cui in parola risulta ad oggi vincolare l’Italia con tre Stati di nuova formazione: Bielorussia, Ucraina, Federazione Russa (quest’ultima in forza degli accordi di Alma Ata del 21 dicembre 1991).
L’art. 3 della Convenzione italo-russa sancisce che “Le Parti Contraenti si forniscono reciprocamente assistenza giudiziaria mediante la esecuzione di commissioni rogatorie relative alla effettuazione di singoli atti processuali, ed in particolare mediante la notifica di documenti, l’interrogatorio delle parti e dei testimoni, degli esperti e di altre persone, la trasmissione di prove materiali, l’esecuzione di perizie, nonché mediante il riconoscimento e la esecuzione delle decisioni in materia civile”.
E’ proprio sulla base di questo articolo, in combinato disposto con l’art. 24 comma 1 lett. d) della Convenzione, che la Suprema Corte non ritiene applicabile al caso di specie la Convenzione bilaterale in esame: essa – afferma la Corte – non riguarda la competenza giurisdizionale, ma il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni civili.
In conseguenza di ciò, non potendo trovare applicazione tale Convenzione bilaterale, la Corte di legittimità applica al caso di specie le norme della Convenzione di Bruxelles del 1968 in forza dell’art. 3, co. 2, della legge n. 218/1995.
Infatti:
– L’art. 3, co. 2, legge n. 218/1995 estende l’ambito di applicazione della Convenzione di Bruxelles del 1968 ai casi in cui il convenuto sia domiciliato in un Paese extracomunitario (nel caso di specie in Russia);
– Rimane applicabile la suddetta Convenzione, a prescindere dal fatto che all’interno dell’Unione europea essa sia stata sostituita dalle norme di cui al regolamento (CE) n. 44/2001 prima e dal regolamento (UE) n. 1215/2012 poi;
– In forza del disposto di cui all’art. 68 di entrambi i regolamenti citati non è infatti possibile estendere il loro ambito di applicazione ai soggetti diversi dagli Stati membri (conferma in tal senso Cass. Sez. Un., sentenza del 12 giugno 2019, n. 15748).
Una volta individuata la fonte applicabile al caso di specie, la Corte di legittimità – nel riconoscere la giurisdizione italiana – richiama l’art. 5, par. 1, n. 3 della Convenzione secondo cui: “Il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato in un altro Stato contraente: […] in materia di delitti o quasi-delitti, davanti al giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto”.
Il riferimento al “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto” concerne tanto il luogo ove è insorto il danno quanto il luogo ove si è verificato l’evento generatore dello stesso, di modo che il convenuto può essere citato, a scelta dell’attore, dinanzi al giudice dell’uno o dell’altro di tali luoghi (e vedasi Cass. sez. Un., ordinanza del 13 gennaio 2010, n. 357): uno di questi risulta proprio sito in Roma, sede legale della società attrice cha ha asseritamente subito i danni di cui chiede il ristoro in giudizio.
Del resto, precisano i giudici di legittimità, non sarebbe possibile radicare la giurisdizione esclusivamente sulla base del luogo in cui sono situati i server della società convenuta, perché l’attività di comunicazione a mezzo Internet si svolge ben oltre lo spazio fisico che ospita le apparecchiature, trattandosi di attività comunicativa destinata ad ampliarsi e a propagare i suoi effetti pregiudizievoli altrove, tra i quali vi è quello dove si trova il centro di interessi del danneggiato.
Da ultimo la Suprema Corte specifica che nel caso di specie non trova applicazione nemmeno il criterio di cui all’art. 120 del decreto legislativo n. 30/2005 (Codice della proprietà industriale) riguardante le regole di giurisdizione e competenza in caso di violazione dei diritti di proprietà industriale, dal momento che quest’ultima norma si applica alle ipotesi inerenti la validità, l’esistenza o la decadenza del titolo di privativa e non anche al differente caso di illeciti aquiliani ad esso connessi.

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