La nozione di “consumatore” al fine della determinazione della competenza giurisdizionale

by Marco Sposini

Corte di giustizia UE, sentenza 9 marzo 2023, causa C-177/22, JA c. Wurth Automotive GmbH – ECLI:EU:C:2023:185

La Corte di giustizia dell’UE, con sentenza 9 marzo 2023 (causa C-177/22), ha fornito ulteriori chiarimenti sull’interpretazione dell’art. 17, par. 1, del regolamento n. 1215/2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni (“Bruxelles I bis“), sulla competenza giurisdizionale in materia di contratti conclusi da consumatori, nel contesto di un giudizio promosso in Austria, a seguito della compravendita di un’automobile.

Il procedimento principale
In data 11 marzo 2019, una cittadina austriaca (grafica e web designer di un sito internet) – tramite il proprio partner (concessionario di automobili e gestore della medesima piattaforma) – formulava alla Wurth Automotive GmbH (società tedesca) un’offerta d’acquisto di un’autovettura, con richiesta di applicazione del regime fiscale del “margine”, per poter beneficiare della detrazione sull’IVA.
Nel contratto trasmesso dalla venditrice e firmato dall’acquirente, quest’ultima veniva indicata quale “società JA” ed erano contenute le seguenti clausole speciali: “operazione tra professionisti/nessun reso, nessuna garanzia/consegna dietro pagamento (…)”.
Riscontrata la sussistenza di vizi occulti del bene, l’acquirente instaurava un procedimento nei confronti della venditrice, avanti il Tribunale circoscrizionale di Salisburgo, per il risarcimento danni. L’attrice asseriva di aver sottoscritto il contratto di acquisto nella qualità di “consumatore” e che la società tedesca aveva diretto la propria attività commerciale anche verso il territorio austriaco, con conseguente competenza del giudice adito, in forza dell’art. 17, par. 1, lett. c), del regolamento n. 1215/2012.
La convenuta eccepiva il difetto di giurisdizione e contestava l’avversa pretesa, assumendo che il rapporto aveva, invece, ad oggetto una transazione commerciale tra professionisti, in virtù di quanto previsto nelle clausole speciali e del particolare regime fiscale richiesto dall’acquirente.
Con ordinanza in data 19 ottobre 2021, il Tribunale circoscrizionale di Salisburgo si dichiarava incompetente, dando rilievo decisivo al fatto che l’acquirente – benché non fosse effettivamente un “consumatore” – si fosse avvalsa dell’ausilio di un intermediario imprenditore ed avesse stipulato quale “professionista”. La circostanza avrebbe, così, indotto la venditrice a legittimamente ritenere di aver concluso un contratto tra professionisti e la norma invocata dall’attrice non sarebbe applicabile. L’acquirente impugnava la decisione avanti il Tribunale del Land di Salisburgo, che sospendeva il procedimento e chiedeva alla Corte di giustizia di fornire alcuni chiarimenti in merito alla nozione di soggetto “consumatore”, ai sensi dell’art. 17, par. 1, del regolamento n. 1215/2012.

La pronuncia
In via preliminare, la Corte ha confermato che – poiché le norme della sezione 4 del capo II del regolamento costituiscono una deroga, sia alla regola generale del foro del domicilio del convenuto, sia alla competenza speciale in materia di contratti di cui all’art. 7, punto 1, in capo al giudice del luogo ove è stata o deve essere eseguita l’obbligazione dedotta in giudizio (v., per analogia, sentenza 25 gennaio 2018, Schrems, C-498/16, punto 43 e giurisprudenza citata) – “la nozione di ‘consumatore’, ai sensi degli articoli 17 e 18 del regolamento n. 1215/2012, deve essere interpretata restrittivamente”.
Occorre, dunque, fare “riferimento alla posizione di tale persona in un contratto determinato, in relazione alla natura e alla finalità di quest’ultimo, e non alla situazione soggettiva di tale persona, dato che la stessa e medesima persona può essere considerata un consumatore nell’ambito di talune operazioni e un operatore economico nell’ambito di altre (sentenza 14 febbraio 2019, Milivojević, C-630/17, EU:C:2019:123, punto 87 e giurisprudenza ivi citata)”.
Essendo finalizzata a tutelare la parte ritenuta debole del rapporto, la disciplina in tema di contratti con i consumatori si applica nell’ipotesi di “contratti conclusi al di fuori e indipendentemente da qualsiasi attività o finalità di natura professionale, con l’unico scopo di soddisfare le proprie necessità di consumo privato da parte di un individuo” ovvero “per un uso non professionale del bene o del servizio di cui trattasi (sentenza 3 ottobre 2019, Petruchová, C-208/18, EU:C:2019:825, punto 44 e giurisprudenza ivi citata)”. Pertanto, questo non vale “in caso di contratto avente come finalità un’attività professionale, anche se prevista in futuro (v., in tal senso, sentenza 14 febbraio 2019, Milivojević, C-630/17, EU:C:2019:123, punti 88 e 89, e giurisprudenza ivi citata)” ed anche se l’attività professionale viene svolta mediante rapporto di lavoro subordinato (v., in tal senso, sentenza 20 ottobre 2022, ROI Land Investments, C-604/20, punti 54 e 55).
Qualora il contratto sia stato concluso in parte per lo svolgimento della propria attività professionale ed in parte a fini privati, le norme sulla competenza giurisdizionale previste dagli articoli 17, 18 e 19 del regolamento sono applicabili “solo nell’ipotesi in cui il collegamento di siffatto contratto con l’attività professionale della persona medesima sia talmente tenue da divenire marginale e abbia, pertanto, solo un ruolo trascurabile nel contesto dell’operazione per la quale il contratto è stato stipulato, considerata nel suo complesso (sentenza 14 febbraio 2019, Milivojević, C-630/17, EU:C:2019:123, punto 91 e giurisprudenza ivi citata)”.
Sotto il profilo istruttorio, il giudice deve, innanzitutto, verificare se gli elementi di prova consentano di stabilire, in modo oggettivo, la finalità del contratto. In caso positivo, è irrilevante accertare “se l’uso professionale o privato potesse essere o meno conosciuto dalla controparte (v., per analogia, sentenza 20 gennaio 2005, Gruber, C-64/01, EU:C:2005:32, punti 48 e 49)”. In mancanza, il giudice può accertare se il presunto consumatore, con il suo comportamento, abbia indotto la controparte a legittimamente ritenere che egli abbia agito per fini professionali (v.,
per analogia, sentenza 20 gennaio 2005, Gruber, cit., punto 51).
Rientra in questa casistica l’operato di un soggetto privato che effettui un ordine di beni “che potrebbero servire effettivamente all’esercizio della sua professione”, con utilizzo della propria carta intestata professionale, chiedendone la consegna presso il proprio domicilio professionale o la possibilità di recuperare l’IVA (v., per analogia, sentenza 20 gennaio 2005, Gruber, cit., punto 52).
In tali ipotesi, le norme sulla competenza in materia di contratti conclusi dai consumatori non sono applicabili, perché è da ritenersi che il contraente – in virtù dell’impressione ingenerata nei confronti della controparte in buona fede – abbia rinunciato alla disciplina protettiva ivi prevista (v., per analogia, sentenza 20 gennaio 2005, Gruber, C-464/01, EU:C:2005:32, punto 53). Al riguardo, la Corte ha considerato che, nella fattispecie, il comportamento dell’acquirente, che spetta al giudice del rinvio in concreto valutare (tra cui, la mancata contestazione delle clausole contrattuali ove la stessa è indicata quale imprenditrice; l’ausilio di un intermediario professionista nella conclusione del contratto; il regime fiscale richiesto), potrebbe essere idoneo a dimostrare la buona fede della venditrice nel ritenere di aver stipulato il contratto con un soggetto che ha agito per fini professionali.
Il giudice – al fine della determinazione della competenza giurisdizionale – deve esaminare le deduzioni della parte attrice (v., per analogia, sentenza 28 gennaio 2015, Kolassa, C-375/13, EU:C:2015:37, punto 62 e giurisprudenza citata). Tuttavia, nel rispetto dell’obiettivo della buona amministrazione della giustizia (che costituisce uno degli scopi essenziali del regolamento n. 1215/2012) e nell’esercizio delle proprie funzioni, il giudice è tenuto a considerare, altresì, tutte le ulteriori informazioni di cui dispone, ivi comprese le eventuali contestazioni ed allegazioni del convenuto (v., per analogia, sentenza 16 giugno 2016, Universal Music International Holding, C-12/15, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).
Nel valutare i mezzi di prova introdotti nel processo dalle parti, il giudice deve applicare il solo diritto nazionale, non avendo il regolamento n. 1215/2012 lo scopo di unificare le norme di diritto processuale degli Stati membri, bensì di ripartire le competenze giurisdizionali ai fini della soluzione delle controversie in materia civile e commerciale (sentenza 6 ottobre 2021, TOTO e Vianini Lavori, C-581/20, EU:C:2021:808, punto 68 e giurisprudenza citata).
Sebbene, in linea di principio, il beneficio del dubbio debba essere attribuito “a favore della persona che invoca la qualità di consumatore, se le circostanze oggettive del fascicolo non sono tali da dimostrare in modo giuridicamente adeguato che l’operazione che ha dato luogo alla conclusione di un contratto a duplice finalità perseguiva una finalità professionale non trascurabile (v., per analogia, sentenza del 20 gennaio 2005, Gruber, C-464/01, punto 50)”, il giudice del rinvio, sulla base del diritto nazionale, è, tuttavia, tenuto a decidere se questo sia valido anche in considerazione dello specifico comportamento manifestato da tale soggetto nei confronti dell’altro contraente (v., per analogia, sentenza 20 gennaio 2005, Gruber, cit., punto 51).

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