Sulla rettificazione dell’atto di nascita attraverso l’indicazione del nome della madre intenzionale a seguito di procreazione medicalmente assistita

by Ilaria Aquironi

Cass. civ., sez. I, sentenza 3 aprile 2020, n. 7668

Con sentenza n. 7688/2020, la Corte di cassazione si è pronunciata sulla rettificazione del certificato di nascita di una minore – nata in Italia mediante procreazione medicalmente assistita (“PMA”) avvenuta all’estero – attraverso l’inserimento del nome della madre intenzionale accanto a quello della madre biologica.

I fatti

Dopo essere ricorse alla PMA all’estero, due cittadine italiane avevano chiesto all’ufficiale di stato civile la rettificazione dell’atto di nascita della figlia, nata in Italia, chiedendo che venisse indicato il nome della madre intenzionale accanto a quello della madre biologica. A seguito del diniego opposto dall’ufficiale di stato civile, le due donne si erano dapprima rivolte al Tribunale di Treviso, che aveva rigettato la richiesta di ricevere la dichiarazione congiunta di riconoscimento della minore, e poi alla Corte d’Appello di Venezia, la quale aveva rigettato il reclamo delle due donne, dichiarando la domanda inammissibile, in quanto avente ad oggetto la rettifica di un atto di nascita formato in Italia e osservando che l’ufficiale dello stato civile non avesse il potere di inserire in un atto dello stato civile dichiarazioni e indicazioni diverse da quelle consentite dalla legge. Le due donne avevano dunque proposto ricorso per cassazione.

La pronuncia

Secondo la Cassazione, la Corte d’appello ha correttamente applicato l’art. 5 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 in materia di procreazione medicalmente assistita, secondo cui possono accedere alle tecniche di fecondazione assistita solo le “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”. Il divieto per le coppie dello stesso sesso di ricorrere alla procreazione assistita, secondo la Corte, oltre ad essere rafforzato dalla previsione di sanzioni amministrative (art. 12, comma 2), è altresì ricavabile dall’art. 30, comma 1, del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 in materia di ordinamento dello stato civile; e dall’art. 1, comma 1, lett. c) del D.P.R. 17 luglio 2015, n. 126 sull’adeguamento del regolamento anagrafico della popolazione residente, che ha sostituito l’art. 7, comma 1, lett. a, del D.P.R. n. 223 del 1989, n. 223. Tali norme considerano esclusivamente un rapporto di filiazione che contempli il legame biologico e/o genetico con il minore, presupponendo pertanto che una sola persona abbia diritto ad essere indicata nell’atto come madre. La Corte ha rammentato che, con la sentenza n. 221 del 2019, la Corte costituzionale si è pronunciata nel senso della compatibilità del sistema attualmente vigente con la Costituzione. Tale pronuncia ha sancito l’inesistenza di un “diritto a procreare”, tenendo in considerazione, per un verso, la funzione delle tecniche considerate – quella di porre rimedio all’infertilità e/o sterilità patologica – e, per altro verso, la “struttura del nucleo familiare scaturente dalle tecniche in questione” – ovverosia quello caratterizzato dalla presenza di una madre e un padre. Secondo la Corte, inoltre, il caso non è assimilabile all’adozione dei minori da parte di coppie omosessuali (si veda, in proposito, Cass. n. 12962 del 2016) e del riconoscimento in Italia di atti formati all’estero, dichiarativi del rapporto di filiazione in relazione a genitori dello stesso sesso (Cass. n. 19599 del 2016, n. 14878 del 2017). Per contro, la possibilità di ottenere il riconoscimento in Italia di atti stranieri dichiarativi del rapporto di filiazione da due donne dello stesso sesso rileva ai fini dell’ordine pubblico ai sensi degli articoli 16 e 64, comma 1, lett. g) della legge 31 maggio 1995, n. 218 sulla riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato. Secondo la Corte, non contrasta con l’ordine pubblico il divieto alle coppie formate da persone di sesso diverso di accedere alla fecondazione assistita, “in relazione ad atti validamente formati all’estero per i quali è impellente la tutela del diritto alla continuità (e conservazione) dello ‘status filiationis’ acquisito all’estero, unitamente al valore della circolazione degli atti giuridici”. Non può dirsi lo stesso, invece, per le coppie omosessuali maschili, per le quali la genitorialità passa attraverso la pratica della maternità surrogata, vietata dall’art. 12, comma 6, della legge n. 40/2004, espressiva di un principio di ordine pubblico, né per il caso di specie, “essendo l’atto di nascita che si chiede di rettificare formato in Italia (dove la bambina è nata) e non rilevando che la pratica fecondativa medicalmente assistita sia avvenuta all’estero”. La Corte ha dunque disposto il rigetto del ricorso.

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