Nozione di atto di assunzione di prove ed autonomia procedurale degli Stati membri

by Tommaso Ferrario

Corte di giustizia UE, sentenza 9 settembre 2021, cause riunite C-208/20 e C-256/20, Toplofikatsia Sofia e a. – ECLI:EU:C:2021:719

Con sentenza 9 settembre 2021 (cause riunite C-208/20 e C-256/20), la Corte di giustizia si è pronunciata sull’interpretazione dell’art. 1, par. 1, lett. a), del regolamento n. 1206/2001 relativo alla cooperazione giudiziaria nel settore dell’assunzione delle prove, che a partire dal 1° luglio 2022 sarà sostituito dal regolamento 2020/1783. L’impossibilità di notificare personalmente atti giudiziari a cittadini i cui recapiti ufficiali all’estero erano ignoti ha infatti reso necessario valutare la possibilità, per il giudice nazionale, di richiedere alle autorità giudiziarie di altri Stati membri l’assunzione di prove. Rispondendo agli ulteriori quesiti posti in merito all’art. 5 del regolamento n. 1215/2012 relativo alla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale ( c.d. “Bruxelles I bis”), la Corte ha specificato l’ambito dell’autonomia procedurale degli Stati membri.  

I procedimenti principali

Nell’ambito della causa C-208/20, le domande del Sofiyski Rayonen sad (il Tribunale distrettuale di Sofia) muovevano da tre diversi procedimenti. Nel primo, la ricorrente (Toplofikatsia Sofia) agiva nei confronti di un cittadino bulgaro per l’accertamento di un credito relativo alla fornitura di energia termica in un immobile. Nella seconda controversia, un’impresa di fornitura elettrica (CHEZ Elektro Bulgaria) emetteva ingiunzione di pagamento nei confronti di un consumatore per non avere questi provveduto al saldo della bolletta. Il terzo procedimento riguardava ancora un’ingiunzione di pagamento, questa volta disposta su richiesta di una società di recupero crediti (Agentsia za control na prosroscheni zadalzhenia) contro una persona fisica, a fronte del mancato rimborso da parte di quest’ultima di un mutuo contratto presso un istituto di credito di Sofia. Similmente, la causa C-256/20 concerneva l’emissione di un’ingiunzione di pagamento per fatture non onorate sempre relative ad una fornitura di energia termica da parte della Toplofikatsia Sofia.
In tutti i procedimenti principali veniva riscontrata l’impossibilità, per i debitori, di vedersi personalmente notificati gli atti giudiziari a fronte dell’irreperibilità presso i loro recapiti in Bulgaria ed il trasferimento, segnalato da vicini o parenti, in diversi Stati membri.
Il Tribunale di Sofia decideva quindi di sospendere i procedimenti e di sottoporre, nell’ambito della causa C-208/2020, quattro quesiti di cui tre sull’art. 5 del regolamento n. 1215/2012 formulati in termini identici per la causa C-256/20. Si chiedeva quindi alla Corte se il giudice nazionale fosse tenuto, nell’ambito dell’art. 1, par. 1, lett. a), del regolamento n. 1206/2001, a procedere ad un controllo, presso le autorità competenti di un altro Stato membro, degli indirizzi delle persone alle quali notificare un atto giudiziario qualora il destinatario del suddetto atto si fosse trasferito. 
In merito all’art. 5, par. 1, del regolamento n. 1215/2012, il giudice del rinvio in sostanza domandava se tale disposizione, nel caso in cui fosse stato certo o probabile che il debitore non risiedeva abitualmente all’interno della sua giurisdizione, potesse impedire l’emanazione di un’ingiunzione di pagamento o l’esecutività della stessa e se in queste ipotesi egli fosse obbligato ad annullare d’ufficio una siffatta ingiunzione.

La pronuncia

La Corte di giustizia, dichiarata parzialmente irricevibile la prima questione, si sofferma sull’interpretazione dell’art. 1, par. 1, lett. a) del regolamento n. 1206/2001 che disciplina il caso in cui un’autorità giudiziaria chieda a quella competente di un altro Stato membro di procedere all’assunzione delle prove. A questo proposito, la Corte esclude che la ricerca dell’indirizzo di una persona alla quale deve essere notificata una decisione giudiziaria possa costituire un atto di assunzione di prove e che conseguentemente situazioni come quelle di cui ai procedimenti principali rientrino nell’ambito di applicazione del regolamento. Peraltro, affermare il contrario risulterebbe incompatibile con il disposto dell’art. 4, par. 1, lett. b) del medesimo regolamento secondo cui – ricordano i giudici del Lussemburgo – tale richiesta deve indicare non solo l’identità ma anche l’indirizzo delle parti del procedimento.
La Corte prosegue poi con la definizione dei quesiti relativi all’interpretazione dell’art. 5 del regolamento n. 1215/2012, norma che, salve le circostanze disciplinate dal medesimo regolamento, non consente a persone domiciliate nel territorio di uno Stato membro di essere convenute davanti alle autorità giurisdizionali di un altro Stato membro. Tuttavia la Corte di giustizia ne dichiara l’irricevibilità nella misura in cui il giudice del rinvio – avendole già emanate e quindi inevitabilmente riconosciuta la propria competenza – domandava se tale norma gli impedisse di disporre ingiunzioni di adempimento nei confronti di un debitore non abitualmente residente nella propria giurisdizione, sulla base di circostanze probabili o certe.
La Corte ribadisce quanto già espresso, tra le altre, nella sentenza Nothartová e cioè che l’obiettivo perseguito dal regolamento n. 1215/2012 non è quello di unificare le norme di diritto processuale degli Stati membri, bensì quello di ripartire le competenze giurisdizionali ai fini della soluzione delle controversie e facilitare l’esecuzione delle sentenze. L’individuazione delle condizioni alle quali le decisioni giudiziarie divengono esecutive e che ne disciplinano la validità, deve ritenersi rientrante nell’ambito della autonomia procedurale degli Stati membri senza che ciò privi l’art. 5 della sua efficacia. La norma deve quindi essere interpretata nel senso che non osta a che un’ingiunzione ad adempiere divenga esecutiva e che essa non obbliga l’autorità giurisdizionale che l’ha emanata ad annullarla.

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