Condizioni ostative al riconoscimento e alla declaratoria di esecutività in Italia di una decisione adottata in un altro Stato membro dell’UE

by Marco Sposini

Cass. Sez. I, ordinanza 26 febbraio 2021, n. 5327, ECLI:IT:CASS:2021:5327CIV

La Corte di cassazione, con ordinanza n. 5327/21, ha chiarito quale verifica debba essere fatta dal giudice italiano, in particolare sotto il profilo dell’ordine pubblico processuale, in sede di exequatur di una decisione emessa da un giudice di un altro Stato membro in forza del regolamento n. 44/2001 sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni (“Bruxelles I”).

Il procedimento

Il Ministero dell’Interno – nella qualità di istituzione intermediaria per l’applicazione della Convenzione di New York del 20 giugno 1956 sull’esazione delle prestazioni alimentari all’estero – chiedeva il riconoscimento e la declaratoria di esecutività in Italia di una sentenza resa dal Tribunale circoscrizionale di Tarnow (Polonia), in data 26 giugno 2007, che – previo accertamento del legame di paternità tra un cittadino italiano e un minorenne nato in Polonia – aveva posto a carico del padre l’obbligo di corrispondere al figlio, a titolo alimentare, una determinata somma mensile.

La sentenza veniva dichiarata esecutiva in Italia dalla Corte d’Appello di Napoli, con decreto pubblicato in data 25 settembre 2017.

Il cittadino italiano impugnava il decreto, mediante ricorso ex art. 702 bis c.p.c. che veniva rigettato con ordinanza in data 7 dicembre 2018 dalla medesima Corte d’Appello.

Il cittadino italiano proponeva, pertanto, ricorso per cassazione, lamentando, tra l’altro, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 34, nn. 1 e 2, del regolamento n. 44/2001, per il fatto, in particolare, che – benché fosse stato dapprima disposto dal Tribunale polacco l’esame del DNA per accertare la paternità e nonostante egli si fosse dichiarato disponibile – la prova non era stata poi effettuata, in quanto inopinatamente revocata dallo stesso giudice. Questa mancanza costituirebbe violazione dell’ordine pubblico e dovrebbe precludere il riconoscimento e la declaratoria di esecutività in Italia della decisione.

La pronuncia

La Corte di Cassazione ha accolto uno dei motivi del ricorso, sulla base delle seguenti considerazioni.

In via preliminare, la Corte ha rammentato che – secondo la propria costante giurisprudenza (cfr., in termini generali, Cass. 18 luglio 2019 n. 19453, e, in un’altra controversia avente ad oggetto il riconoscimento di paternità, Cass. 18 luglio 2013 n. 17463) “la verifica delle condizioni ostative al riconoscimento di una decisione adottata in uno Stato membro all’interno di altro Stato dell’Unione Europea ha spazio delimitato all’area concernente il rispetto delle garanzie fondamentali”, a norma dell’art. 34 del regolamento n. 44/2001 e dell’art. 45 del successivo regolamento n. 1215/2012 (“Bruxelles I bis”) (quest’ultimo regolamento ha sostituito il precedente, ma non è applicabile alla presente controversia ratione temporis).

A tal fine, “il Giudice domestico deve in specie verificare se siano stati rispettati i principi fondamentali dell’ordinamento italiano, anche relativi al procedimento formativo della decisione, posti a garanzia del diritto di agire e resistere in giudizio e del contraddittorio”. Si tratta, quindi, di affrontare il tema dei “diritti essenziali della difesa rispetto all’intero processo” e dell’ordine pubblico processuale (che deve essere distinto dall’ordine pubblico sostanziale) (cfr. Cass. 3 settembre 2015 n. 17519, Cass. 9 maggio 2013 n. 11021 e Cass. 18 gennaio 2017, n. 1239).

Considerato che “non è ravvisabile una violazione del diritto di difesa ogni volta in cui venga riscontrata l’inosservanza di una disposizione della legge processuale straniera” (cfr. Cass. n. 17519/2015), la Corte ha ritenuto che non implica, di per sé, alcuna violazione dell’ordine pubblico il mancato espletamento dell’esame del DNA, del quale si duole il ricorrente.

La prova della paternità può essere, invero, conseguita anche mediante altri mezzi di prova, per i quali opera la regola processuale del libero convincimento del giudice, ai sensi dell’art. 116 c.p.c.

Secondo la Corte, tuttavia, nel caso de quo, il previsto esame del DNA, anche tenuto conto della manifestata disponibilità da parte del presunto padre a sottoporsi al test, non poteva più essere revocato dal giudice e – tanto meno – senza motivazione alcuna. La prova della paternità a mezzo esame del DNA era dunque ormai entrata a fare parte del processo che si stava celebrando, con la conseguenza che si è così ingiustificatamente determinata una “rottura della consecuzione processuale”.

La revoca di un mezzo di prova già disposto, per essere legittima e rispettare le “garanzie fondamentali” ed i “diritti essenziali della difesa”, deve essere, infatti, “razionale e giustificata”, nonché “adeguatamente motivata, per ogni riscontro, nella sentenza di merito” (cfr. Cass. 17 aprile 2009 n. 9234).

La pronuncia del Tribunale polacco, sul punto, costituisce, dunque, una violazione dell’ordine pubblico processuale.

La Corte ha conseguentemente accolto il secondo motivo del ricorso formulando il seguente principio di diritto: “in tema di esecutività della sentenza straniera, integra una violazione del diritto alla prova della parte, tenuta agli obblighi seguenti alla sentenza di cui viene richiesta l’esecutività, e così pure dell’ordine pubblico processuale, la decisione del giudice straniero che, in relazione a un rilevante bene della vita (quale l’accertamento della paternità naturale), si basa su una motivazione apodittica, resa dopo avere dapprima disposto d’ufficio e poi immotivatamente revocato l’ammissione della prova del DNA, pur in presenza di dichiarata disponibilità all’esame da parte del preteso padre, così emergendo l’irrazionalità dell’interruzione del procedimento formativo di una prova avente particolare valore dimostrativo”.

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