Il mancato exequatur quale motivo di opposizione all’esecuzione in Italia di una decisione inglese

by Marco Sposini

Tribunale di Napoli, Sez. XIV, ordinanza 18 marzo 2022

Il Tribunale di Napoli, con ordinanza 18 marzo 2022, ha fornito chiarimenti sul rimedio esperibile dal debitore, in sede di esecuzione di una decisione inglese e in assenza del conseguimento da parte del soggetto creditore della declaratoria di esecutività in Italia, prevista dagli art. 38 e ss. del regolamento n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni (“Bruxelles I“).

Il procedimento

Con provvedimento del 21 – 30 ottobre 2014, un tribunale inglese condannava un cittadino italiano al pagamento di un importo a favore di una cittadina britannica e rilasciava certificato di cui all’art. 54 del regolamento n. 44/2001, attestandone l’efficacia esecutiva nel Regno Unito.
A seguito della richiesta della creditrice di declaratoria di esecutività in Italia di tale decisione, ai sensi degli art. 38 e ss. del medesimo regolamento, la Corte d’Appello di Napoli, con decreto 18 – 19 novembre 2019, dichiarava il “non luogo a provvedere”, ritenendo non più necessario ottenere l’exequatur per avviare l’esecuzione, con l’entrata in vigore del successivo regolamento n. 1215/2012 (“Bruxelles I bis”).
La cittadina britannica promuoveva, pertanto, una procedura di pignoramento presso terzi avanti il Tribunale di Napoli.
Il debitore proponeva opposizione ex art. 615, 2° comma, c.p.c., con contestuale istanza di sospensione ex art. 624 c.p.c., eccependo, in particolare, la mancanza di efficacia esecutiva in Italia del provvedimento inglese. L’istanza di sospensione veniva rigettata, conformemente al decreto della Corte d’Appello e in assenza della prova delle condizioni in grado di legittimare il diniego all’esecuzione.
Il debitore formulava reclamo, ai sensi degli articoli 624 e 669 terdecies c.p.c.

La pronuncia

Il Collegio ha accolto il ricorso sulla base delle seguenti considerazioni.
In limine, ha confermato che, a norma dell’art. 67, comma 2, lett. a) dell’accordo sul recesso del Regno Unito dall’UE, si applica il regolamento n. 1215/2012 ai provvedimenti inglesi “pronunciati in azioni proposte prima della fine del periodo di transizione (termine coincidente con il 31 dicembre 2020). Peraltro, il riferimento contenuto nel sopra citato art. 67 appare comprensivo anche del Regolamento (CE) n. 44/2001 (ovviamente, nei casi in cui esso continui ad essere applicabile), atteso che il Regolamento (UE) n. 1215/2012 rappresenta, in buona sostanza, l’aggiornamento e la sostituzione del precedente (cfr. il considerando n. 1)”.
Ciò premesso, il Collegio – contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d’Appello – ha ritenuto, in forza della disposizione transitoria dell’art. 66, 2° comma, del regolamento n. 1215/2012, che la fattispecie sia sottoposta al regolamento n. 44/2001, poiché relativa ad una decisione emessa in un procedimento promosso anteriormente
al 10 gennaio 2015, e la circostanza è dirimente. L’esecuzione del provvedimento inglese che non abbia conseguito la declaratoria di esecutività in Italia costituisce, infatti, “un’ipotesi di carenza di titolo suscettibile di deduzione con l’opposizione ex art. 615 c.p.c.”.
E, invero, sebbene entrambi i regolamenti consentano alla parte interessata di chiedere il diniego dell’esecuzione per motivi tassativi, solamente il regolamento n. 1215/2012 prevede l’efficacia esecutiva automatica, in ciascuno Stato membro, delle pronunce rese negli altri Stati membri.
Secondo il Collegio, nel regolamento n. 44/2001, la prima fase a carattere sommario ed inaudita altera parte – finalizzata a munire la decisione del giudice dello Stato membro di origine di efficacia esecutiva nello Stato membro richiesto, previo accertamento delle necessarie condizioni e dell’insussistenza di motivi ostativi – “non si traduce in un’attività meramente amministrativa e/o di volontaria giurisdizione, né è equiparabile (nonostante l’apparente identità di situazione) a quella che è chiamato a svolgere, ad esempio, il cancelliere in sede di apposizione della formula
esecutiva ai sensi dell’art. 475 c.p.c; si tratta, piuttosto, di un’attività riconducibile all’area della giurisdizione di cognizione, in quanto funzionale … alla soluzione di un conflitto su diritti” e “risponde ad una logica insita nel complessivo sistema delineato dal Regolamento (CE) n. 44/2001”.
Non avendo il “decreto di non luogo a provvedere” della Corte d’Appello natura di giudicato, analogamente all’ipotesi di rigetto della domanda presentata in via monitoria, a norma dell’art. 640, 3° comma, c.p.c., l’ordinanza reclamata può essere riformata.
Il Collegio ha quindi sospeso l’esecuzione, con integrale compensazione delle spese legali stante la particolarità del caso e per “gravi ed eccezionali ragioni”.

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