La rilevanza degli Incoterms ai fini della determinazione della competenza giurisdizionale nella compravendita internazionale di beni mobili

by Marco Sposini

Cass. sez. un., ordinanza 28 giugno 2022, n. 20633, ECLI:IT:CASS:2022:20633CIV
Cass. sez. un., ordinanza 20 luglio 2022, n. 22674, ECLI:IT:CASS:2022:22674CIV

Le sezioni unite della Corte di cassazione, con ordinanze n. 20633/22 e n. 22674/22 rese in sede di regolamento di giurisdizione, hanno precisato entro quali limiti è possibile tenere conto dei termini e delle clausole elaborati dalla Camera di commercio internazionale per stabilire la competenza giurisdizionale nelle controversie intra-europee relative alla compravendita internazionale di beni mobili, a norma dei regolamenti n. 44/2001 e n. 1215/2012, sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni (rispettivamente “Bruxelles I” e Bruxelles I bis”), giungendo, tuttavia, a conclusioni parzialmente divergenti.

Il procedimento e la pronuncia n. 20633/22

Su ricorso di una società italiana – creditrice del saldo di una fornitura di merce – il Tribunale di Treviso emetteva un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo nei confronti di una società inglese.
La parte ingiunta eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice italiano a favore di quello del Regno Unito, quale giudice del luogo di destinazione finale e di consegna materiale dei beni, ai sensi dell’art. 7, punto 1, lettera b), del regolamento n. 1215/2012, assumendo che tra le parti non fosse intercorso alcun differente accordo al riguardo.
Il Tribunale, non ravvisando fondata l’eccezione dell’opponente, rigettava l’istanza di sospensione della provvisoria esecuzione e la parte ingiunta, nella pendenza della causa, instaurava regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c.
Nel proprio ricorso, la società inglese deduceva, tra l’altro, che il medesimo luogo di consegna era stato indicato anche negli ordini di acquisto, nelle conferme d’ordine, nelle fatture, nonché nelle lettere di vettura CMR, mentre era ininfluente l’inserimento della clausola “ex works” effettuato dalla venditrice, di propria iniziativa, nelle stesse fatture.
La Suprema Corte – ritenuto ammissibile il regolamento preventivo in pendenza di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, non avendo l’ordinanza di cui all’art. 649 c.p.c. natura definitiva e di giudicato (Cass. Sez. U. n. 10132/2012, Cass. Sez. U. n. 10941/2007 e la recente Cass. Sez. U. n.15891/2022) – ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano.
La Corte ha statuito che, in caso di vendita a distanza, per stabilire la competenza giurisdizionale, a norma dell’art. 7, punto 1, lettera b), del regolamento n. 1215/2012, occorre verificare se il luogo di consegna è stato determinato nel contratto. E’, dunque, necessario considerare “tutti i termini e …tutte le clausole rilevanti del contratto stesso che siano idonei a identificare con chiarezza tale luogo, ivi compresi i termini e le clausole generalmente riconosciuti e sanciti dagli usi del commercio internazionale”, come affermato dalla Corte di giustizia UE, che, nel vigore dell’identica disposizione di cui all’art. 5, punto 1, lettera b), del regolamento n. 44/2001, con la sentenza 9 giugno 2011, Electrosteel Europe SA c. Edil Centro s.p.a., C-87/10 (espressamente richiamata dalla Corte di Cassazione), ha attribuito efficacia probatoria, per l’individuazione del luogo di consegna, agli Incoterms elaborati dalla Camera di commercio internazionale, nella versione pubblicata nel 2000, tra cui la clausola “ex works” (con la quale, come noto, il venditore adempie alla propria obbligazione, mettendo a disposizione del compratore la merce a terra in un proprio stabilimento o deposito). Con la medesima decisione e con la sentenza 25 febbraio 2010, Car Trim, causa C-381/08, la CGUE ha, invece, considerato applicabile il criterio basato sulla consegna materiale solamente qualora non sia possibile determinare il luogo in base al contratto.
Sennonché, la Corte – dando seguito ad un proprio orientamento (Cass. Sez. U. n. 24279/2014, Cass. Sez. U. n. 32362/2018, Cass. Sez. U. n. 17566/2019 e Cass. Sez. U. n. 15891/2022) – ha poi ritenuto che tale clausola inserita in documenti “unilaterali” (le fatture) predisposti dalla venditrice “non può valere, di per sé, come derogativa del criterio di attribuzione giurisdizionale generale, in mancanza di un’espressa e chiara accettazione della clausola e, quindi, della formazione di un univoco accordo contrattuale sul punto” ed essendo finalizzata “di regola, a disciplinare l’aspetto del passaggio dei rischi e dei costi del trasporto successivo in capo all’acquirente ma non ad incidere sulla determinazione dell’attribuzione della giurisdizione”.
Ad avviso della Corte, nel caso di specie, il luogo da considerare ai fini della competenza giurisdizionale è, pertanto, quello di recapito finale (sito nel Regno Unito), ove l’acquirente ha conseguito il potere di disporre materialmente della merce, poiché “presenta un alto grado di prevedibilità e risponde ad un obiettivo di prossimità, in quanto garantisce l’esistenza di una stretta correlazione tra il contratto e il giudice chiamato a conoscerne” ed è coerente con “l’obiettivo fondamentale di un contratto di compravendita di beni”, che consiste nel “trasferimento degli stessi dal venditore all’acquirente, operazione che si conclude soltanto quando detti beni giungono alla loro destinazione finale” (v. CGUE “Car Trim”). Per contro, è irrilevante il luogo in cui il venditore affida la merce al vettore, poiché ciò “non garantisce in pari modo le esigenze di semplificazione, uniformità e prevedibilità delle decisioni”.
Con la pronuncia di difetto di giurisdizione del giudice italiano, la stessa Suprema Corte, in accoglimento dell’opposizione in rito, ha, altresì, dichiarato la nullità e la revoca del decreto ingiuntivo emesso, per perdita di “potestas iudicandi” dello stesso giudice, che comporta la “improseguibilità del giudizio di merito” (Cass. Sez. U. n. 22433/2018 e Cass. Sez. U. n. 15891/2022).

Il procedimento e la pronuncia n. 22674/22

Una società romena – in opposizione ad un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Trani – eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice italiano e, nella pendenza del giudizio, a seguito della concessione della provvisoria esecuzione, instaurava regolamento preventivo di giurisdizione. Assumeva la sussistenza della competenza giurisdizionale del Tribunale di Bucarest, quale giudice del luogo della consegna materiale dei beni (avvenuta presso la propria sede) e non avendo le parti stipulato una clausola sulla scelta del foro.
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile, per mancata esposizione dei fatti di causa, a norma dell’art. 366, 1° comma, n. 3 c.p.c.
La Corte – integralmente trascritto il dispositivo della sentenza della CGUE “Electrosteel”, per “chiarire quali siano gli elementi di cui il giudice deve tenere conto al fine di verificare se il luogo di consegna possa o meno ritenersi determinato in base al contratto” – ha, infatti, ravvisato “a fronte di un tale quadro giurisprudenziale comunitario” la mancata allegazione delle circostanze in grado di far comprendere “gli elementi essenziali del contratto concluso tra le parti e le relative clausole proprio per verificare se vi fossero o meno quegli elementi idonei a identificare con chiarezza il luogo di consegna”.

2 commenti

  • Karl von Hase ha detto:

    Caro Marco,
    grazie del tuo bel articolo. Come promesso una carrellata di sentenze tedesche:

    La Corte d’Appello di Stoccarda (sentenza del 07.08.2017, 5 U 188/16, ZVertriebsR 2018, 131) ha ritenuto che tramite la clausola “Ex Works [luogo in Germania]” e l’ulteriore clausola “ritiro merce/nessuna spedizione” il luogo di consegna era stato contrattualmente determinato in Germania nonostante le parti si fossero poi messe d’accordo per ragioni pratiche di far organizzare il trasporto della merce esclusivamente dal venditore tedesco. La merce fu fornita in Svizzera e la questione riguardava l’art. 5 n. 1 della Convenzione di Lugano.

    Con sentenza del 09.09.2011 (19 U 88/11, ZfBR 2012, 222) la Corte d’Appello (Oberlandesgericht) di Hamm ha stabilito che l’ordine di un acquirente tedesco che prevedeva la fabbricazione e fornitura di un cilindro „DDP [luogo]/Germany” confermato da un venditore britannico in una conferma d’ordine che conteneva tra l’altro la dicitura „Freight Charge (Incoterms 2000)” e „DDP delivery to U… GmbH” era da intendersi come accordo di una clausola „DDP Incoterms 2000” con luogo di consegna ed esecuzione in Germania.

    La stessa Corte d’Appello di Hamm ha invece stabilito con sentenza del 26.03.2012 (2 U 222/11, BeckRS 2012, 11809) che una clausola “CPT (…)” (Incoterms 2000) non era da intendersi come accordo sul luogo di esecuzione presso il venditore belga, nonostante il venditore avesse consegnato la merce al trasportatore in Belgio. Ha ritenuto che fosse decisivo che la merce fosse stata spedita in Germania presso l’acquirente.

    La Corte d’Appello di Naumburg ha ritenuto (sentenza del 24.4.2019, 12 U 152/18, NJW 2020, 476) che la clausola “FCA S…, Germany”, in base alla quale un fornitore tedesco consegnava la merce ad un trasportatore in Germania per spedirla al cliente ceco conteneva un accordo sul luogo di esecuzione in Germania.

    Cari saluti.

    Karl von Hase

  • Marco Sposini ha detto:

    Caro Karl,
    Ti ringrazio per aver segnalato la giurisprudenza delle corti Tedesche.
    Sembra prevalere l’orientamento secondo cui le clausole Incoterms sono idonee a identificare con chiarezza anche il luogo di consegna dei beni e, quindi, rilevano ai fini della determinazione della competenza giurisdizionale.
    Un caro saluto
    Marco Sposini

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