Tutela del consumatore e superamento del giudicato tramite opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. in caso di decreto ingiuntivo non opposto

by Susanna Marta

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 6 aprile 2023, n. 9479 – ECLI:IT:CASS:2023:9479CIV

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza 6 aprile 2023, n. 9479, hanno fatto applicazione dei principi espressi nelle quattro pronunce della Corte di giustizia dell’UE rese il 17 maggio 2022 (causa C-600/19, Ibercaja Banco; cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza; causa C-725/19, Impuls Leasing Romania; causa C-869/19, Unicaja Banco) in tema di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori e superamento del principio dell’autorità di cosa giudicata in caso di decreto ingiuntivo non opposto.

I fatti
Il procedimento trae origine dall’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di un professionista, non opposto dal consumatore, che solo in sede di procedura esecutiva ha contestato l’omesso rilievo d’ufficio del giudice della fase monitoria della abusività di una clausola (nel caso di specie di deroga del foro del consumatore) del contratto posto alla base del credito azionato.
In particolare, il ricorrente-consumatore stipulava un contratto di fideiussione con un istituto di credito, costituendosi garante delle obbligazioni assunte da una società (la fattispecie è sussumibile, dunque, nei c.d. contratti b2c). L’istituto di credito otteneva un decreto ingiuntivo, non opposto dal consumatore, ed interveniva in una proceduta di espropriazione immobiliare già instaurata nei confronti del debitore-consumatore. Dichiarato esecutivo il progetto di distribuzione della somma ricavata, il consumatore esecutato opponeva ex art. 617 c.p.c. la relativa ordinanza, eccependo la nullità del decreto ingiuntivo, per essere stato emesso da giudice territorialmente incompetente, in quanto adito sulla base di una illegittima clausola di deroga del foro del consumatore, ritenuta abusiva ai sensi della disciplina consumeristica europea.
Alla luce del rigetto dell’opposizione da parte del Tribunale di prime cure – che individuava nell’istituto dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. il rimedio per far valere la qualità di consumatore, ma escludeva, nel caso di specie la tempestività della relativa azione – il consumatore proponeva ricorso straordinario in Cassazione ex art. 111, co. 7, Cost., deducendo la violazione e/o errata interpretazione della direttiva 93/13/CEE e dell’art. 19 TUE, con riferimento al principio di effettività della tutela del consumatore, posto che, in caso di decreto ingiuntivo non opposto sarebbe impossibile per il consumatore ottenere (i) un controllo officioso in sede di esecuzione sulla abusività delle clausole, la cui validità sarebbe coperta dall’estensione degli effetti del giudicato implicito alla validità delle clausole del contratto che ne è alla base, nonché (ii) tutela giudiziaria, una volta che sia decorso il termine per proporre opposizione avverso al decreto.
Stante la rinuncia al ricorso del ricorrente-consumatore, il Pubblico Ministero sollecitava la Suprema Corte ad enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge (ex art. 363 c.p.c.), con l’intento di superare la situazione di “grave incertezza interpretativa” creatasi a seguito dell’emanazione delle quattro coeve pronunce della Corte di giustizia dell’UE rese il 17 maggio 2022, aventi ad oggetto le sorti del giudicato nazionale dinanzi alla inderogabile normativa europea.

Premessa: il contesto
Le Sezioni Unite offrono una interpretazione europea del diritto processuale civile italiano in risposta alle citate sentenze della Corte di giustizia e, per quanto di riguardo al contesto nazionale, alla sentenza del 17 maggio 2022, di cui alle cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza, a mezzo della quale, in analogo contesto fattuale, il giudicante lussemburghese, interpellato da un duplice rinvio del Tribunale di Milano, è stato chiamato valutare “se l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa – per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità – successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole”.
La Corte di giustizia ha risposto positivamente al quesito, sostenendo, in estrema sintesi, che, sebbene il diritto dell’Unione non sia volto ad armonizzare direttamente le procedure applicabili all’esame del carattere abusivo di una clausola presente in un contratto concluso dal consumatore (fermo il principio di autonomia processuale degli Stati membri), tuttavia le procedure nazionali devono garantire l’effettività dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, circostanza, questa, che sarebbe esclusa in assenza di un efficacie (ed effettivo) controllo sul carattere abusivo delle clausole contrattuali in materia consumeristica.
Alla luce di quanto affermato dalla Corte di giustizia è stato subito chiaro il profondo impatto della pronuncia sul principio di cosa giudicata e la necessità di un intervento di coordinamento tra la disciplina processuale interna e il diritto europeo, come interpretato dalla Corte di giustizia.

La pronuncia
Premesso quanto precede e ritornando alla fattispecie sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite, queste ultime, nel dichiarare l’estinzione del giudizio per intervenuta rinuncia della ricorrente, hanno ritenuto di enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge nell’ambito della tutela consumeristica di cui alla direttiva 93/13/CEE, individuando i passaggi e gli obblighi cui il giudice nazionale deve adempiere nelle diverse fasi processuali con il fine di garantire la conformità della normativa interna al diritto dell’Unione ed applicare i principi vincolanti dettati dalla Corte di giustizia affinché sia definitivamente superata la situazione di “grave incertezza interpretativa” evidenziata dal Pubblico Ministero.
È chiaro, secondo la Suprema Corte, che l’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia, in ragione del principio di effettività, impone all’ordinamento processuale interno, di adeguare le proprie categorie ed istituti alle citate pronunce, con l’intento di assicurare al consumatore un controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali, imponendo al giudice, in sede processuale, di esaminare anche d’ufficio tale carattere, dando conto degli esiti del relativo controllo.
Con tale fine, la Corte passa in rassegna le ricadute dell’applicazione dei principi dettati dalla Corte di giustizia sul piano del diritto processuale interno in relazione a tutte le fasi che coinvolgono il decreto ingiuntivo (e dunque: la fase monitoria, relativa al momento in cui il decreto viene richiesto dal creditore e spetti poi al giudice la valutazione sulla concessione; la fase di opposizione tardiva, prima che il titolo sia eseguito; la fase di esecuzione).
In relazione alla fase monitoria i meccanismi processuali di diritto interno sono ritenuti di per sé idonei e sufficienti per una corretta applicazione della normativa posta a tutela del consumatore, come interpretata dalla Corte di giustizia, secondo cui:

1. al giudice nazionale è imposta la verifica ex officio della natura abusiva delle clausole contrattuali su cui si fonda il credito del professionista, tanto nell’ambito della procedura ingiuntiva nazionale, che europea di cui al regolamento n. 1896/2006 (si vedano, le sentenze citate dalla Corte di cui alle cause C-243/08, Pannon GSM; C-618/10, Banco Español de Crédito; C-415/11, Aziz; C-176/17, Profi Credit Polska Profi Credit Polska; C-137/08, VB Pe’nzügyi Lizing; C-511/17, Lintner; C-495/19, Kancelaria Medius; C-170/21, Profi Credit Bulgaria);

2. in relazione alla verifica di tale natura il giudice della fase monitoria può richiedere, anche d’ufficio, informazioni complementari o la produzione di ulteriori documenti dalla parte interessata, con la conseguenza che violerebbe il diritto dell’Unione una normativa nazionale che non consenta di ricevere i suddetti (cause riunite C-453/18 e C-494/18, Bondora AS).

Invero, secondo la Corte, l’assetto normativo delineato dagli articoli 633-644 c.p.c. permette al giudice di effettuare il doveroso controllo sulla legittimità della clausola, posto che lo stesso è esercitabile attraverso i poteri istruttori di cui all’art. 640, co. 1, c.p.c. (in primis chiedendo copia del contratto da cui il credito deriva) e, in ogni caso, l’art. 641 c.p.c. impone l’obbligo di motivazione del decreto. È proprio tale obbligo di motivazione che deve essere utilizzato dal giudice per informare il debitore-consumatore del controllo effettuato in ordine all’abusività delle clausole, nonché per avvertirlo che, in difetto di opposizione, interverrà la decadenza anche sotto il profilo della abusività.
Dunque, la tutela del consumatore sarà effettiva e conforme al diritto europeo nei casi in cui il decreto ingiuntivo contenga i predetti (i) motivazione e (ii) avvertimento: in tal caso, l’omessa opposizione nel termine di cui all’art. 641 c.p.c., farà si che non siano più proponibili contestazioni relative alla eventuale vessatorietà delle clausole del contratto b2c. La medesima linearità non si riscontra nelle successive fasi processuali, ove il giudice del monitorio non abbia osservato (o non osservi in futuro) quanto precede e, dunque, siano divenuti irrevocabili decreti ingiuntivi privi della motivazione e dell’avvertimento predetti e/o siano in corso esecuzioni (situazioni queste alle quale deve essere garantita la stessa tutela effettiva al consumatore, vista la portata retroattiva delle sentenze della Corte di giustizia).
Invero, per granitico orientamento giurisprudenziale nazionale, l’efficacia di giudicato del decreto ingiuntivo non opposto copre tanto il dedotto quanto tutte le questioni che si pongono quali precedenti logici della decisione (cfr. ad esempio le pronunce citate dalle stesse Sezioni Unite nella sentenza in oggetto tra cui Cass. n. 2326/1967, Cass. n. 11549/1998, Cass. n. 11360/2010, Cass. n. 25317/2017, Cass. n. 31636/2021) e, dunque, anche l’accertamento circa la validità delle clausole del contratto posto a fondamento del diritto di credito azionato, anche se non espressamente richiamate nella motivazione del decreto ingiuntivo.
Ritengono però le Sezioni Unite che la corretta applicazione del diritto dell’Unione europea non consenta alla decisione così emessa di dare luogo “alla formazione, stabile e intangibile, di un giudicato”, posto che deve essere garantito l’accesso alla tutela giurisdizionale al consumatore (causa C-169/14, Sánchez Morcillo e Abril García), anche in sede esecutiva ed attuativa del diritto accertato, per consentire la “riattivazione del contraddittorio sulla questione pregiudiziale eventualmente non affrontata, concernente, per l’appunto, l’assenza di vessatorietà delle clausole del contratto” (causa C-421/14, Banco Primus; causa C-600/19, Ibercaja Banco; cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza; causa C-725/19, Impuls Leasing Romania; causa C-869/19, Unicaja Banco).
Per far fronte a tale incompatibilità, la Suprema Corte individua nell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo dettata dall’art. 650 c.p.c. idoneo meccanismo processuale di diritto interno, a cui dovranno apportarsi gli adeguamenti che si rendono necessari in ragione di una piena conformazione del diritto nazionale al diritto dell’UE di cui alla direttiva 93/13/CEE, secondo l’interpretazione della Corte di giustizia.
Tale disciplina, che la Corte ritiene coniugare meglio di altri strumenti processuali l’esigenza di tutela del consumatore ed il principio di autonomia procedurale, permette di opporre un decreto ingiuntivo ormai divenuto definitivo, nel caso in cui l’intimato provi di “non averne avuto tempestiva conoscenza…per caso fortuito o forza maggiore” e ciò, sia nel caso in cui non sia ancora stata iniziata l’esecuzione, che quando la stessa, viceversa sia pendente.
Come anticipato, la disciplina dell’opposizione tardiva deve essere oggetto di interpretazione adeguatrice e, ciò, sotto un duplice profilo.
In primo luogo, attraverso un’interpretazione conforme dell’art. 650 c.p.c., co. 1, sussumendo l’assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in punto di valutazione della vessatorietà delle clausole e il mancato avvertimento circa la possibilità di far valere detta abusività solo entro un certo termine, al “caso fortuito o forza maggiore” di cui alla citata norma e attribuendo così la facoltà al debitore-consumatore, di proporre opposizione tardiva pur avendo avuto conoscenza del decreto ingiuntivo della cui rituale notificazione è stato destinatario.
Inoltre, adeguando il termine entro cui proporre l’opposizione tardiva nei casi in cui sia stata avviata, disapplicando l’ultimo comma dell’art. 650 c.p.c. (secondo cui l’opposizione tardiva non è più proponibile decorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione), e rinvenendo “il termine di 40 giorni dall’art. 641 c.p.c., ossia un termine che è pur sempre tratto dall’interno della disciplina dettata per l’opposizione a decreto ingiuntivo e della cui rispondenza al criterio di effettività non è dato dubitare”.
Con l’intento, dunque, di chiarire le scansioni processuali che consentano nelle diverse fasi di rimettere in discussione “l’accertamento sul bene della vita implicato dal decreto ingiuntivo, ossia il credito riconosciuto giudizialmente”, le Sezioni Unite cristallizzano gli adempimenti e gli obblighi che dovranno seguire i giudici nel seguente principio di diritto:

“Fase monitoria.
Il giudice del monitorio:
a) deve svolgere, d’ufficio, il controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all’oggetto della controversia;
b) a tal fine procede in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili, ai sensi dell’art. 640 c.p.c., con il potere istruttorio d’ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d’ingiunzione:
b.1) potrà, quindi, chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore;
b.2) ove l’accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un’istruttoria eccedente la funzione e la finalità del procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovrà rigettare l’istanza d’ingiunzione;
c) all’esito del controllo:
comma 1) se rileva l’abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all’accoglimento parziale del ricorso;
comma 2) se, invece, il controllo sull’abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell’art. 641 c.p.c., anche in relazione alla anzidetta effettuata delibazione;
comma 3) il decreto ingiuntivo conterrà l’avvertimento indicato dall’art. 641 c.p.c., nonché l’espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile.

Fase esecutiva.
Il giudice dell’esecuzione:
a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo;
b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine;
c) dell’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo – informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo;
d) fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito;
e) se il debitore ha proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615, comma 1, c.p.c., al fine di far valere l’abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii);
f) se il debitore ha proposto un’opposizione esecutiva per far valere l’abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva – se del caso rilevando l’abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell’opposizione tardiva sull’istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore.

Fase di cognizione.
Il giudice dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.:
a) una volta investito dell’opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere, ex art. 649 c.p.c., l’esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l’accertamento sull’abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale;
b) procederà, quindi, secondo le forme di rito”.

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