La Convenzione italo – tunisina del 1967 e il riconoscimento delle decisioni

by Marco Sposini


Corte di cassazione, sez. I, ordinanza 18 aprile 2023, n. 10307 – ECLI:IT:CASS:2023:10307CIV

La Corte di cassazione, con ordinanza 18 aprile 2023, n. 10307, ha fornito alcuni chiarimenti in merito alle verifiche che il giudice italiano è tenuto ad effettuare in sede di riconoscimento in Italia di decisioni rese in Tunisia in materia civile e commerciale, alla luce della Convenzione tra l’Italia e la Tunisia relativa all’assistenza giudiziaria in materia civile, commerciale e penale, al riconoscimento ed alla esecuzione delle sentenze e delle decisioni arbitrali e all’estradizione, conclusa a Roma il 15 novembre 1967.

Il procedimento
Il 10 aprile 2020, la Corte d’appello di Bologna rigettava la domanda – proposta da una società tunisina – di riconoscimento in Italia di una sentenza resa dalla Corte d’appello di Tunisi il 29 marzo 2018 e confermata dalla suprema corte tunisina, con cui una società italiana era stata condannata a pagare un importo.
La corte territoriale – accertato il passaggio in giudicato della decisione e rilevata la competenza del giudice tunisino, in virtù dell’oggetto della controversia (obbligazioni da eseguirsi in Tunisia) – ravvisava che alla parte convenuta (non domiciliata in Tunisia) non era stato assegnato il termine minino di comparizione di 90 giorni, previsto dall’art. 3, co. 1, lett. b) della Convenzione tra Italia e Tunisia del 15 novembre 1967, relativa all’assistenza giudiziaria in materia civile, commerciale e penale, al riconoscimento ed alla esecuzione delle sentenze e delle decisioni arbitrali e all’estradizione.
Nonostante la convenuta si fosse regolarmente costituita nel giudizio svoltosi in Tunisia, il riconoscimento era, di per sé, precluso, poiché il mancato rispetto del termine avrebbe impedito l’effettiva instaurazione del contraddittorio ed il concreto esercizio del diritto di difesa.
La società tunisina proponeva ricorso per cassazione, lamentando, tra l’altro, la violazione e/o la falsa applicazione di tale disposizione della Convenzione e assumendo l’insussistenza di un motivo ostativo al riconoscimento, in assenza di una lesione grave e manifesta del contraddittorio e, quindi, di una violazione dell’ordine pubblico processuale.
Al riguardo, la ricorrente asseriva che l’avvenuta costituzione della convenuta aveva sanato, con effetto ex tunc, i vizi della citazione, in base alle norme processuali italiane e tunisine, e che la società italiana aveva eletto domicilio in Tunisia, in un atto stragiudiziale antecedente l’instaurazione del giudizio.

La pronuncia
Il ricorso è stato rigettato.
La Corte ha, invero, confermato che – in considerazione della chiara formulazione dell’art. 3, co. 1, lett. b) della Convenzione tra l’Italia e la Tunisia del 15 novembre 1967: “nel caso in cui la parte soccombente non si trovi nel territorio dello Stato nel quale la decisione è pronunciata, il termine di comparizione non dovrà essere inferiore a novanta (90) giorni” – una sentenza non può essere riconosciuta nell’altro Stato, se al convenuto non sia stato assegnato il termine minimo di comparizione e ciò anche qualora lo stesso convenuto si sia costituito in giudizio.
Infatti, “in caso di notificazione da effettuare all’estero, l’osservanza del termine di comparizione di novanta giorni non costituisce un requisito alternativo rispetto alla costituzione in giudizio della parte soccombente, sia perché si tratta di un diritto riconosciuto alle parti a garanzia del loro diritto di difesa, sia perché l’alternativa prevista dalla norma pattizia si riferisce alla presenza o meno del convenuto sul territorio dello Stato in cui deve svolgersi il giudizio, e si risolve proprio nell’irrilevanza, in caso di assenza, della costituzione in giudizio che sia avvenuta a fronte dell’assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello minimo di novanta giorni (cfr. Cass., Sez. I, 21 novembre 2011, n. 24415)”.
Inoltre, quando fu stipulata la Convenzione, il termine minimino di comparizione previsto nei rispettivi codici di procedura civile era, per l’Italia, di 90 giorni, in caso di notificazione da eseguirsi in territori posti nel bacino del Mediterraneo, mentre, per la Tunisia, di 60 giorni, in caso di notificazione all’estero. Ne consegue che “tale diversità di disciplina induce a ritenere che, nell’individuare i requisiti per il riconoscimento reciproco dell’efficacia delle sentenze emesse nei rispettivi territori, gli Stati contraenti abbiano inteso allineare i due termini a quello più lungo previsto dalla normativa all’epoca vigente in Italia, in modo tale da assicurare la più ampia garanzia al diritto di difesa della parte domiciliata in uno Stato diverso da quello in cui fosse stata pronunciata la sentenza”.
La regola della sanatoria del vizio, a seguito dell’avvenuta costituzione, opera, pertanto, solo qualora il convenuto sia domiciliato nel medesimo Stato ove è stata emessa la decisione.
Nel caso di specie, quindi, il diniego del riconoscimento non è conseguenza di contrarietà all’ordine pubblico processuale, bensì della violazione della Convenzione italo – tunisina, la cui disciplina prevale, sia sulla normativa europea, in forza dell’art. 73, par. 3, del regolamento UE n. 1215/2012 (“Bruxelles I bis”): “Il presente regolamento non pregiudica l’applicazione delle convenzioni e degli accordi bilaterali tra uno Stato terzo e uno Stato membro conclusi prima della data di entrata in vigore del regolamento (CE) n. 44/2001 che riguardino materie disciplinate dal presente regolamento”, sia sulle norme interne, in forza dell’art. 2 della legge 31 maggio 1995, n. 218 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato: “Le disposizioni della presente legge non pregiudicano l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia”.
Peraltro, ai sensi dell’art. 64, lett. b), della legge n. 218/1995 “la sentenza straniera è riconosciuta in Italia … quando l’atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa”.
Non essendovi distinzione “tra l’ipotesi in cui il convenuto si sia costituito e quello in cui sia rimasto contumace … tale disposizione prevede due diversi requisiti, il primo dei quali presuppone un controllo di legittimità in ordine al puntuale rispetto della legge straniera in tema di notificazioni, mentre il secondo postula un controllo di regolarità dell’intero processo alla stregua dei principi di ordine pubblico sanciti dall’ordinamento interno a salvaguardia del contraddittorio e del diritto di difesa in ambito processuale, sicché l’indagine in ordine alla sussistenza di uno dei due requisiti non assorbe quella attinente alla sussistenza dell’altro (cfr. Cass., sez. I, 22 aprile 2013, n. 9677; 25 luglio 2006, n. 16978; 22 luglio 2004, n. 13662)”.
Per stabilire se la parte convenuta si trovi “nel territorio dello Stato nel quale la decisione è pronunciata”, a norma dell’art. 3, comma 1, lettera b) della Convenzione, occorre fare riferimento, in via esclusiva, al domicilio reale della stessa, che deve essere individuato nella sede statuaria sita in Italia ex art. 2328 c.c., in assenza di allegazione e prova che in Tunisia “si svolgesse, o si fosse svolta nel periodo considerato, l’attività direttiva, amministrativa ed organizzativa dell’impresa”.
L’assunto della ricorrente, secondo cui la società italiana avrebbe eletto domicilio in Tunisia, a mezzo di un atto stragiudiziale antecedente l’instaurazione del giudizio, oltre ad implicare una non consentita rivalutazione, in sede di legittimità, di una circostanza di fatto già esclusa dalla corte territoriale, è, dunque, irrilevante.

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