Limiti oggettivi del giudicato, obbligo di concentrazione delle domande riguardanti un contratto di lavoro e riconoscimento delle decisioni nello spazio giudiziario europeo

di Elena D'Alessandro


Corte di giustizia UE, sentenza 8 giugno 2023, causa C‑567/21, BNP Paribas SA – ECLI:EU:C:2023:452

La Corte di giustizia dell’UE, con sentenza 8 giugno 2023 (causa C-567/211), ha chiarito che “l’articolo 33 del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in combinato disposto con l’articolo 36 di tale regolamento, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che il riconoscimento, nello Stato membro richiesto, di una decisione riguardante un contratto di lavoro, emessa nello Stato membro d’origine, abbia la conseguenza di comportare l’irricevibilità delle domande proposte dinanzi a un giudice dello Stato membro richiesto per il motivo che la normativa dello Stato membro d’origine prevede una norma processuale che prevede la concentrazione di tutte le domande relative a tale contratto di lavoro”. La Corte del Lussemburgo ha aggiunto che spetta al giudice nazionale determinare quali siano le norme processuali applicabili a seguito del riconoscimento della decisione emessa nello Stato membro d’origine e le eventuali conseguenze processuali quanto alle domande formulate successivamente.

I fatti e il procedimento principale
Nel 1998, in forza di un contratto di diritto inglese, la BNP Paribas assumeva un lavoratore dipendente per la propria succursale londinese. Nel 2009 le parti sottoscrivevano un nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato, di diritto francese, che prevedeva il distacco temporaneo del lavoratore a Singapore e il suo successivo rientro a Londra.
Nel 2013 il dipendente veniva licenziato per colpa grave, a causa di fatti verificatisi nel corso del suo distacco a Singapore. In seguito a tale evento il lavoratore adiva il giudice inglese chiedendo che fosse accertata la mancanza di una giusta causa di licenziamento e che il datore di lavoro gli pagasse una indennità di compensazione, riservandosi la possibilità di esercitare ulteriori azioni risarcitorie connesse alla risoluzione del suo contratto di lavoro. Le parti accettavano di comune accordo che la controversia fosse risolta in applicazione del diritto inglese.
Nel 2014 il giudice inglese dichiarava fondata la domanda alla luce del diritto del Regno Unito. La BNP Paribas versava all’interessato una somma in sterline a titolo di indennità di compensazione.
Successivamente il dipendente adiva il Conseil de prud’hommes di Parigi per sentir condannare BNP Paribas al pagamento del risarcimento del danno per licenziamento senza giusta causa, nonché al pagamento di un’indennità sostitutiva di preavviso, di un’indennità di licenziamento nonché dei bonus e i premi previsti dal suo contratto di lavoro. Con sentenza del 2016, tali domande venivano dichiarate irricevibili a motivo della sussistenza del giudicato britannico, invocato nel giudizio francese in via incidentale ai sensi dell’art. 33, par. 3, del regolamento (CE) n. 44/2001.
La decisione di irricevibilità veniva appellata e nel 2019 la Cour d’appel di Parigi l’annullava ritenendo che la sentenza britannica avesse autorità di cosa giudicata nei limiti in cui aveva ritenuto il licenziamento non fondato su una causa reale e seria, ma che le domande risarcitorie presentate dal dipendente presentate in Francia fossero ricevibili. Ad avviso del giudice d’appello parigino le richieste risarcitorie formulate avanti al giudice francese erano diverse da quella avanzata e decisa dal giudice inglese, cosicché nessuna autorità di cosa giudicata della decisione inglese poteva essere invocata per impedirne l’esame nel merito. Per l’effetto la Cour d’appel di Parigi condannava la BNP Paribas al pagamento del risarcimento del danno per licenziamento senza giusta causa, nonché al pagamento al lavoratore di un’indennità sostitutiva di preavviso, di un’indennità di licenziamento nonché di ulteriori bonus e premi, in applicazione del diritto francese e del contratto di lavoro.
La BNP Paribas impugnava tale sentenza dinanzi alla Cour de cassation sostenendo che sarebbe stato necessario verificare se la sentenza inglese ostasse a che i giudici di un altro Stato membro statuissero su domande che avrebbero potuto essere formulate sin nel giudizio proposto in tale primo Stato.
La Cour de cassation ha pertanto deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se gli articoli 33 e 36 del regolamento n. 44/2001 debbano essere interpretati nel senso che, quando la legge dello Stato membro d’origine della decisione conferisce a quest’ultima un’autorità tale per cui essa impedisce che le medesime parti possano agire nuovamente per ottenere una pronuncia sulle domande che avrebbero potuto essere formulate nel giudizio iniziale, gli effetti spiegati dalla decisione de qua nello Stato membro richiesto ostano a che un giudice di quest’ultimo Stato, la cui legge applicabile ratione temporis prevedeva, in materia di diritto del lavoro, un analogo obbligo di concentrazione delle pretese, si pronunci su siffatte domande.
2) In caso di risposta negativa alla prima questione, se gli articoli 33 e 36 del regolamento n. 44/2001 debbano essere interpretati nel senso che un’azione come quella per “unfair dismissal” nel Regno Unito ha il medesimo titolo e il medesimo oggetto di un’azione quale quella in materia di licenziamento senza causa reale e seria nel diritto francese, di modo che le domande di risarcimento del danno per licenziamento senza causa reale e seria, di indennità sostitutiva del preavviso e di indennità di licenziamento avanzate dal dipendente dinanzi al giudice francese dopo aver ottenuto nel Regno Unito una decisione che accerta l’“unfair dismissal” e riconosce le indennità previste a tale titolo (“compensatory award”), sono irricevibili. A tale riguardo, se occorra distinguere tra il risarcimento del danno per licenziamento senza causa reale e seria che potrebbe avere il medesimo titolo e il medesimo oggetto del “compensatory award”, e le indennità di licenziamento e di preavviso che, nel diritto francese, sono dovute quando il licenziamento è fondato su una causa reale e seria ma non sono dovute in caso di licenziamento fondato su colpa grave.
3) Parimenti, se gli articoli 33 e 36 del regolamento n. 44/2001 debbano essere interpretati nel senso che un’azione come quella per “unfair dismissal” nel Regno Unito e un’azione diretta al pagamento di bonus o di premi previsti nel contratto di lavoro hanno il medesimo titolo e il medesimo oggetto quando tali azioni si fondano sullo stesso rapporto contrattuale tra le parti».

La pronuncia
La Corte di giustizia prende in esame solo il primo quesito, risolvendolo in senso positivo, così assorbendo le altre due domande interpretative formulate dalla Cour de cassation.
Il punto di partenza del ragionamento dei giudici del Lussemburgo è costituito dalla relazione sulla Convenzione di Bruxelles, elaborata da Paul Jenard (GU 1979, C 59, pag. 44), secondo cui l’art. 26, terzo comma, di tale Convenzione, che equivale all’art. 33, par. 3, del regolamento n. 44/2001 che «riguarda l’ipotesi in cui il riconoscimento è invocato in via incidentale, cioè come eccezione di cosa giudicata nel corso di un’altra procedura», al fine di impedire che la proposizione in tale altro Stato membro di domande identiche a quelle già decise, deve «avere come effetto di attribuire alle decisioni l’autorità e l’efficacia che esse rivestono nello Stato in cui sono state pronunciate».
Ne consegue – precisa la Corte del Lussemburgo – che una decisione straniera riconosciuta in forza dell’art. 33 del regolamento n. 44/2001 in linea di massima avrà, nello Stato richiesto, la medesima efficacia che essa ha nello Stato d’origine (in tal senso, da ultimo, Corte di giustizia, 15 novembre 2012, Gothaer Allgemeine Versicherung, C‑456/11, EU:C:2012:719, punto 34 nonché, in precedenza, Corte di giustizia, 4 febbraio 1988, Hoffmann c. Krieg, C-145/86, EU:C:1988:61).
Pertanto, quando il riconoscimento di una decisione di merito emessa in uno Stato membro è invocato ai sensi del regolamento n. 44/2001 (oggi ai sensi del regolamento n. 1215/2012) occorrerà riferirsi unicamente alle norme giuridiche dello Stato membro d’origine per determinare gli effetti che tale decisione deve esplicare nello Stato membro richiesto e, dall’altro, attribuire a una siffatta decisione l’autorità e l’efficacia che essa riveste nello Stato membro d’origine. Per contro, in situazioni di tal fatta, a differenza di quanto affermato con riferimento alle pronunce declinatorie della competenza giurisdizionale in Corte di giustizia, 15 novembre 2012, Gothaer Allgemeine Versicherung, cit., non vi è alcun concetto eurounitario di “limiti oggettivi del giudicato” a cui fare riferimento.
Solo che, nella vicenda da cui è scaturita la richiesta di interpretazione pregiudiziale, la situazione era complicata dal fatto che la decisione da riconoscere proveniva da uno Stato membro d’origine che impone alle parti di concentrare tutte le loro domande relative ad uno stesso rapporto giuridico (nella specie: un contratto di lavoro) nell’ambito di un unico giudizio, a pena di irricevibilità. Occorreva quindi stabilire se una siffatta norma processuale nazionale fosse da tenere in considerazione al momento di delineare l’ambito dell’autorità e dell’efficacia (rectius: i limiti oggettivi di efficacia) della decisione inglese da riconoscere in Francia. Ciò per comprendere se le ulteriori domande risarcitorie derivanti dal contratto di lavoro in tale paese avanzate fossero suscettibili di essere decise nel merito, nonostante il precedente giudicato inglese.
A tale proposito, l’avvocato generale, nelle sue conclusioni (punto 54) aveva ritenuto dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio potesse desumersi che « la norma sull’abuse of process, che impone alle parti di concentrare tutti i motivi e le domande che esse avrebbero potuto avanzare nel giudizio sfociato nella decisione iniziale, non si fonda(sse) sulla nozione di res judicata». Piuttosto, si tratta di una «norma di ordine pubblico fondata sull’auspicabilità, tanto nell’interesse generale quanto nell’interesse delle stesse parti, che la controversia non si protragga indefinitamente e che il convenuto non debba subire più cause successive quando una sola avrebbe potuto essere sufficiente». L’avvocato generale (punto 55) aggiungeva che la norma processuale in parola risultava «giustificata da una concezione del sistema processuale specifica del Regno Unito, in quanto tende ad impedire la proposizione
abusiva da parte del ricorrente di un eventuale nuovo procedimento».
Nel Regno Unito, cioè, il principio di concentrazione delle domande non è la conseguenza dell’adozione di una nozione ampia di oggetto del processo (che include tutto il contratto di cui si discute) su cui poi si determina l’oggetto del giudicato, i.e. i limiti oggettivi di efficacia del giudicato civile.
La Corte di giustizia, prendendo atto del fatto che, nello Stato di origine (ossia nell’ordinamento inglese), una siffatta norma sulla concentrazione delle domande è di natura processuale e ha lo scopo di evitare che le domande connesse a uno stesso e unico rapporto giuridico che vincola le parti diano luogo ad una moltitudine di giudizi e dunque non è destinata a disciplinare l’autorità e l’efficacia che una decisione riveste nello Stato membro, ritiene che essa non si applichi neppure quando si tratta di determinare i limiti oggettivi di efficacia della decisione inglese in Francia.

In questo modo, e in osservanza delle norme sulla competenza giurisdizionale di cui al capo II del regolamento n. 44/2001, la parte interessata potrà beneficiare dell’opportunità di proporre nuove domande dinanzi a un giudice pur designato come competente dal medesimo regolamento. Nel caso di specie: il giudice francese.
La Corte di giustizia ricorda, però, che, quando una decisione straniera è riconosciuta nello Stato membro richiesto, essa è integrata nell’ordinamento giuridico di tale Stato.

Ne consegue che al giudizio (nel caso di specie pendente in Francia) in cui l’autorità di tale decisione sia invocata si applicano le norme processuali del foro. Qualora lo Stato richiesto contempli anch’esso una norma che impone la concentrazione delle domande riguardanti il medesimo contratto (quale è il caso della Francia), sarà il giudice nazionale a dover stabilire cosa ciò comporti.
La Corte di giustizia conclude ricordando che, sebbene il riconoscimento debba avere l’effetto, in linea di principio, di attribuire alle decisioni straniere l’autorità e l’efficacia che esse rivestono nello Stato membro in cui esse sono state pronunciate, la situazione è diversa nella fase dell’esecuzione di una decisione in base al sistema dell’exequatur previsto dal regolamento n. 44/2001, con cui alla decisione di condanna proveniente da altro Stato membro è attribuita una nuova efficacia esecutiva da parte del giudice dello Stato richiesto. In un sistema così congegnato, non vi è alcun motivo per accordare a detta decisione effetti (esecutivi, N. d.A) che non le spettano nello Stato membro d’origine o effetti che una decisione dello stesso tipo pronunciata direttamente nello Stato membro richiesto non produrrebbe (v., in tal senso, Corte di giustizia, 28 aprile 2009, Apostolides, C‑420/07, EU:C:2009:271, punto 66, nonché Corte di giustizia, 4 ottobre 2018, Società Immobiliare Al Bosco, C‑379/17, EU:C:2018:806, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).
Pare da escludere che quest’ultima affermazione sia riferibile anche al regolamento n. 1215/2012, in cui non vi è exequatur, e dove pertanto l’efficacia esecutiva della sentenza straniera nello Stato membro di esecuzione è in linea di principio la medesima di cui la pronuncia gode nello Stato di origine.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.