Litispendenza internazionale e giurisdizione: il caso Elkann-Agnelli de Pahlen davanti alla Corte di cassazione

by Daniele Muritano

Cass., sez. un., ordinanza 3 gennaio 2024, n. 121, ECLI:IT:CASS:2023:121CIV

Il caso Elkann-Agnelli de Pahlen deciso dalla Cassazione con ordinanza 3 gennaio 2024, n. 121, ha affrontato complesse questioni inerenti alla litispendenza internazionale e alla giurisdizione.

I fatti

Il caso, noto alle cronache, riguarda la causa promossa da Margherita Agnelli in de Pahlen che nel 2020 ha citato davanti al Tribunale di Torino i suoi figli John Philip Jacob, Lapo Edovard e Ginevra Elkann, nonché il notaio svizzero Urs von Grűnigen, esecutore testamentario e amministratore dell’eredità di Marella Caracciolo, già coniuge di Giovanni Agnelli, scomparsa nel 2019. Nella causa sono intervenuti gli altri quattro figli di Margherita Agnelli de Pahlen, Peter, Anna, Tatiana e Sofia de Pahlen.

Al centro della contesa vi sono la validità del testamento di Marella Caracciolo (contestata dalla figlia Margherita), la presunta lesione di legittima per effetto di donazioni (anche indirette e simulate) fatte da costei e la validità dell’accordo transattivo stipulato tra Margherita e la madre nel 2004. Tale accordo riguardava la successione di Giovanni Agnelli, mancato nel 2003 e conteneva anche la rinuncia di Margherita a tutti i diritti che le sarebbero spettati sulla futura successione della madre: rinuncia che, se la successione di Marella Caracciolo fosse regolata dalla legge italiana, sarebbe nulla per violazione del divieto di patti successori.

I convenuti Elkann hanno chiesto al Tribunale di dichiarare la carenza di giurisdizione sulle domande dell’attrice e degli intervenienti nei loro confronti, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione Italo-Svizzera del 1933 o, quanto meno, dell’art. 17 (oggi 23) della Convenzione di Lugano concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; in via subordinata, in ragione della pendenza in svizzera di tre giudizi (instaurati nel 2015, nel 2019 e nel 2020), di dichiarare la litispendenza con riguardo a tutte domande ai sensi dell’art. 7, commi 2 e 3 della legge 31 maggio 1995, n. 218  e dell’art. 27 della Convenzione di Lugano; in via ulteriormente subordinata di sospendere la causa in attesa dei giudicati svizzeri e nel merito il rigetto di tutte le domande.

Il Tribunale di Torino, con un’articolata ordinanza depositata il 5 giugno 2023, ha rigettato l’eccezione di litispendenza internazionale e ha sospeso il processo nell’attesa della definizione dei tre giudizi pendenti in Svizzera.

La sospensione del processo, dice il Tribunale, è l’unico strumento che nella fattispecie – nella quale, pur in mancanza dei presupposti della litispendenza, vi erano numerose interferenze tra i giudizi pendenti all’estero e quelli pendenti in Italia – consente di scongiurare il rischio di giudicati contraddittori e il conseguente ostacolo alla circolazione delle decisioni.

Avverso l’ordinanza torinese propongono ricorso per regolamento necessario di competenza tutte le parti in causa: i convenuti chiedono la riforma dell’ordinanza nel capo in cui ha rigettato l’eccezione di litispendenza internazionale; gli attori nel capo in cui ha disposto la sospensione del processo.

La pronuncia

La Corte di cassazione dichiara inammissibili i ricorsi proposti dagli Elkann e dal notaio svizzero avverso il capo dell’ordinanza che ha rigettato l’eccezione di litispendenza internazionale e accoglie il ricorso degli Agnelli e de Pahlen, annullando l’ordinanza limitatamente al capo che ha disposto la sospensione del processo, con termine ordinario per la riassunzione.

Dopo avere richiamato i principi affermati dalla propria giurisprudenza in materia di litispendenza, distinzione tra regolamento preventivo di giurisdizione e regolamento necessario di competenza, la Corte afferma che, sia che si pronunci la sospensione del processo, sia che si definisca la causa con la pronuncia di litispendenza, i presupposti da verificare sono i medesimi, quelli di natura processuale relativi all’identità delle cause e alla pendenza del giudizio instaurato preventivamente; quindi, l’impugnazione esperibile anche in tale secondo caso è il regolamento di competenza ex art. 42 c.p.c.

Ne consegue che nella fattispecie il regolamento necessario di competenza è inammissibile, per il fatto che l’ordinanza impugnata non ha dichiarato la litispendenza internazionale ma l’ha esclusa. I ricorrenti potranno dedurre l’illegittimità del provvedimento con l’impugnazione della sentenza resa all’esito del processo.

L’annullamento dell’ordinanza nella parte in cui dispone la sospensione del processo si fonda sulla non corretta applicazione dell’art. 7, comma 3, della legge 31 maggio 1995, n. 218, il quale prevede che “Nel caso di pregiudizialità di una causa straniera, il giudice italiano può sospendere il processo se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetti per l’ordinamento italiano”.

La Corte anzitutto precisa che nel caso in cui il giudice abbia disposto la sospensione in forza della norma sopra richiamata, il sindacato di legittimità in sede di regolamento di competenza risulta circoscritto al controllo sulla completezza, correttezza e logicità delle argomentazioni utilizzate, senza poter investire l’opportunità della scelta.

La decisione della Corte è tranchant: posto che i processi pendenti in Svizzera sono tre, l’art. 7, comma 3, della l. n. 218/1995 non consente di sospendere il processo senza argomentare in ordine all’incidenza di ciascuno di tali processi sul processo pendente in Italia e al permanere dei presupposti per la sospensione fino alla definizione dell’ultimo processo in Svizzera.

Peraltro, la Corte si avventura in una leggerezza là dove afferma, per liquidare come pacifica la giurisdizione italiana, che “il cittadino italiano sempre e senza riserve può essere convenuto avanti ai giudici italiani”: concetto di difficile enunciazione, con l’avvento della legge n. 218/1995.

L’erronea applicazione dell’art. 7, comma 3, rileva inoltre, dice sempre la Corte, sotto altri due profili.

In primo luogo l’ordinanza non ha esposto le ragioni di pregiudizialità delle cause pendenti in Svizzera con riguardo alla domanda di petizione ereditaria proposta davanti al Tribunale di Torino da Margherita Agnelli relativamente a beni mobili della successione del padre Giovanni Agnelli, che non sono oggetto di alcuna delle cause svizzere.

In secondo luogo l’ordinanza avrebbe dovuto prognosticare una competenza giurisdizionale concorrente in capo all’autorità giudiziaria svizzera con riguardo alle domande relative alla successione Caracciolo, tale da rendere almeno probabile la pronuncia di decisioni nel merito nei giudizi svizzeri, perché, soltanto a tale condizione sarebbe stata logicamente giustificata la sospensione del processo al fine di evitare il rischio di giudicati contraddittori.

L’ordinanza si è limitata, dice la Corte, a considerare rilevante la questione della riconoscibilità delle future decisioni svizzere in Italia quando invece, per eseguire il giudizio prognostico necessario ai fini dell’art. 7, comma 3, della legge n. 218/1995, avrebbe dovuto individuare il criterio di collegamento in forza del quale ritenere che i giudici di ciascuna delle cause svizzere affermeranno la loro competenza giurisdizionale e decideranno nel merito le domande proposte in quei processi, quale presupposto sul quale eseguire la prognosi di riconoscibilità delle relative decisioni in Italia e il rischio di prevenire giudicati contraddittori.

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