L’efficacia esecutiva nell’Unione europea di un’ordinanza di pagamento emessa in uno Stato membro in forza di decisioni adottate in uno Stato terzo

by Marco Sposini

Corte di giustizia UE, sentenza 7 aprile 2022, causa C-568/20, J c. H Limited – ECLI:EU:C:2022:264

La Corte di giustizia dell’UE, con sentenza 7 aprile 2022 (causa C-568/20), ha fornito alcuni chiarimenti sull’interpretazione degli articoli 2, lettera a) e 39 del regolamento n. 1215/2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni (“Bruxelles I bis“), nel corso di una controversia nella fase di esecuzione in Austria di un’ingiunzione di pagamento di un giudice del Regno Unito, in virtù di pronunce dell’autorità giurisdizionale di un Paese extra-europeo.

Il procedimento principale

Su istanza di un istituto bancario, e in forza di due sentenze definitive emesse in Giordania, in data 20 marzo 2019, la High Court of Justice of England and Wales emetteva un’ingiunzione di pagamento esecutiva nei confronti di una persona fisica. Il 12 aprile 2019, il Tribunale circoscrizionale di Freistadt accoglieva la richiesta della parte creditrice di esecuzione del provvedimento in Austria (Paese di residenza del debitore), avendo accertato che l’ingiunzione di pagamento era stata pronunciata nel contraddittorio tra le parti e che la High Court aveva rilasciato l’attestato previsto dall’art. 53 del regolamento n. 1215/2012. Il debitore – dopo aver proposto opposizione avanti il Tribunale del Land di Linz, che veniva rigettata – ricorreva per cassazione. La Suprema Corte d’Austria sospendeva il procedimento e chiedeva alla Corte di giustizia, tra l’altro, di precisare se gli articoli 2, lettera a) e 39 del regolamento n. 1215/2012 debbano essere interpretati nel senso che un’ordinanza d’ingiunzione di pagamento, adottata dal giudice di uno Stato membro sulla base di sentenze definitive emesse in uno Stato terzo, costituisca una decisione e sia esecutiva negli altri Stati membri.

La pronuncia

In via preliminare, la Corte ha rammentato che, per il regolamento n. 1215/2012 valgono i principi elaborati nel vigore, dapprima, della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, e, successivamente, del regolamento n. 44/2001 (Bruxelles I), laddove “tali disposizioni possano essere qualificate come «equivalenti»” (v. sentenza 10 marzo 2022, BMA Nederland, causa C-498/20, EU:C:2022:173, punto 27 e giurisprudenza ivi citata). Ne consegue che, relativamente all’art. 2, lettera a), del regolamento n. 1215/2012, occorre tenere conto di quanto già affermato dalla stessa Corte, con riferimento all’art. 32 del regolamento n. 44/2001, secondo cui qualsiasi pronuncia di un giudice di uno Stato membro, a prescindere dalla denominazione usata e dal suo contenuto, costituisce una “decisione” (v., in tal senso, sentenza 15 novembre 2012, Gothaer Allgemeine Versicherung e a., causa C-456/11, EU:C:2012:719, punto 23). Ha, pertanto, natura decisoria ed efficacia esecutiva in tutti gli Stati dell’UE anche “un’ordinanza d’ingiunzione di pagamento, adottata dal giudice di uno Stato membro sulla base di sentenze definitive emesse in uno Stato terzo”, qualora sia stata dichiarata esecutiva nello Stato membro di origine, all’esito di un’istruzione, anche sommaria, nel contraddittorio tra le parti (v., per analogia, sentenza 2 aprile 2009, Gambazzi, causa C-394/07, EU:C:2009:219, punto 23 e giurisprudenza ivi citata). Un’interpretazione restrittiva – oltre ad ostacolare la libera e rapida circolazione delle decisioni in materia civile e commerciale ed a minare la fiducia reciproca tra i giudici degli Stati membri – “sarebbe incompatibile con gli articoli 39, 45 e 46 di detto regolamento, che prevede l’esecuzione di pieno diritto delle decisioni giudiziarie ed esclude il controllo della competenza dei giudici dello Stato membro di origine da parte di quelli dello Stato membro richiesto” (v., per analogia, sentenza 15 novembre 2012, Gothaer Allgemeine Versicherung e a., causa C-456/11, EU:C:2012:719, punto 31).
Peraltro, non avendo il regolamento n. 1215/2012 lo scopo di unificare le norme di diritto processuale degli Stati membri, bensì di ripartire la competenza giurisdizionale tra gli stessi (v., in tal senso, sentenza 9 settembre 2021, Toplofikatsia Sofia e a., cause riunite C-208/20 e C-256/20, EU:C:2021:719, punto 36 nonché giurisprudenza ivi citata), ciascuno Stato membro è libero di definire la disciplina interna per il riconoscimento e la declaratoria di esecutività nel proprio Paese di provvedimenti di giudici di Stati extra-europei.
Rimane, tuttavia, salvo il diritto del debitore di chiedere il diniego dell’esecuzione, in ambito europeo, dell’ordinanza d’ingiunzione di pagamento del giudice dello Stato membro, ai sensi dell’art. 46, fornendo la prova della sussistenza di uno dei motivi di cui all’art. 45 che precludono il riconoscimento e, in particolare, per manifesta contrarietà all’ordine pubblico dello Stato richiesto.
Al riguardo, la Corte – in conformità alla propria costante giurisprudenza – ha statuito che:
a- “sebbene non spetti alla Corte di definire il contenuto dell’ordine pubblico di uno Stato membro, essa è però tenuta a controllare i limiti entro i quali il giudice può ricorrere a tale nozione per non riconoscere una decisione emanata da un altro Stato membro” (v., per analogia, sentenze 28 marzo 2000, Krombach, causa C-7/98, EU:C:2000:164, punti 22 e 23, nonché 16 luglio 2015, Diageo Brands, causa C-681/13, EU:C:2015:471, punto 42 e giurisprudenza ivi citata);
b- fermo il divieto della revisione della decisione nel merito, non è comunque consentito al giudice dello Stato membro richiesto negare il riconoscimento “per il solo motivo che esiste una divergenza tra la norma giuridica applicata dal giudice dello Stato membro di origine e quella che avrebbe applicato il giudice dello Stato membro richiesto se fosse stato investito della controversia. Allo stesso modo, il giudice dello Stato richiesto non può controllare l’esattezza delle valutazioni di diritto o di fatto operate dal giudice dello Stato di origine (v. sentenze 28 marzo 2000, Krombach, causa C-7/98, EU:C:2000:164, punto 36, nonché 16 luglio 2015, Diageo Brands, causa C-681/13, EU:C:2015:471, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).
Il diniego al riconoscimento è, dunque, legittimo solamente in casi eccezionali: i) quando la decisione straniera comporta “una violazione palese di una norma giuridica considerata essenziale nell’ordinamento dello Stato richiesto o di un diritto riconosciuto come fondamentale in tale ordinamento” (v. sentenze 28 marzo 2000, Krombach, causa C-7/98, EU:C:2000:164, punto 37, nonché 16 luglio 2015, Diageo Brands, C-681/13, EU:C:2015:471, punto 44 e giurisprudenza ivi citata) ii) nell’ipotesi di una violazione manifesta e smisurata del diritto al contraddittorio e, quindi, per contrarietà all’ordine pubblico processuale (v., in tal senso, sentenza 2 aprile 2009, Gambazzi, causa C-394/07, EU:C:2009:219, punti 27, 37, 45 e 46).

Si tratta di condizioni che dovranno essere eventualmente rilevate dal giudice del rinvio.

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