La giurisdizione italiana nei procedimenti che coinvolgono il Regno Unito dopo la Brexit

by Marco Sposini

Cass., sez. un., ordinanza 4 luglio 2023, n. 18847, ECLI:IT:CASS:2023:18847CIV

Le sezioni unite della Corte di cassazione, con ordinanza 4 luglio 2023, n. 18847, hanno fornito alcuni chiarimenti sui criteri per la determinazione della competenza giurisdizionale del giudice italiano, nei procedimenti connessi con il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord a seguito del recesso dall’Unione europea (“Brexit”) e avviati successivamente alla fine del periodo di transizione del 31 dicembre 2020.

Il procedimento

Con atto di citazione notificato in data 27 agosto 2021, un cittadino italiano (dottore commercialista e revisore legale) instaurava un giudizio avanti il Tribunale di Roma nei confronti di una cittadina italiana residente a Londra, per ottenere il pagamento di asserite prestazioni professionali rese a favore della convenuta e di società ad essa riconducibili.

La convenuta eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice italiano – assumendo di essere non solo residente, ma anche domiciliata a Londra e di rivestire la qualifica di soggetto “consumatore”, da cui la conseguente competenza esclusiva del giudice inglese – nonché il difetto di legittimazione dell’attore, in quanto con quest’ultimo non sarebbe intercorso alcun rapporto contrattuale.

L’attore proponeva, pertanto, regolamento preventivo di giurisdizione, deducendo, in particolare, che:

– la convenuta aveva mantenuto il domicilio a Roma per lo svolgimento dei propri affari;
– le prestazioni erano state effettuate in Italia;
– non era applicabile la disciplina sui contratti con i consumatori perché la convenuta aveva stipulato il contratto oggetto di causa per soddisfare la propria attività imprenditoriale.

Tali circostanze determinerebbero la competenza giurisdizionale del giudice adito, ai sensi dell’art. 3, comma 1 e 2, della legge n. 218/1995 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato e in forza del criterio di collegamento speciale di cui all’art. 7 regolamento (UE) n. 1215/2012 (c.d. “Bruxelles I bis”).

La pronuncia

La Suprema Corte ha dichiarato la giurisdizione del giudice italiano.

In via preliminare, il ricorso è stato ritenuto ammissibile, essendo stato notificato prima della data fissata per l’udienza di discussione e decisione della causa ex art. 281 sexies c.p.c. avanti il Tribunale di Roma.

E’ infatti pacifico che “la preclusione all’esperibilità del regolamento preventivo di giurisdizione, ai sensi dell’art. 41 cod. proc. civ., per effetto di una decisione nel merito in primo grado, si verifica dal momento in cui la causa viene trattenuta per la sentenza, momento che, segnando il radicamento dei poteri decisori del giudice, osta a che il regolamento medesimo possa assolvere lo scopo di una sollecita definizione della questione di giurisdizione investendone in via preventiva la Suprema Corte (Cass. Sez. Un., n. 8076/2012; n. 25256/2009)”.

Ciò premesso, nella fattispecie, ove è coinvolto il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, a norma dell’art. 67, par. 1, lettera a) dell’accordo sul recesso dall’Unione europea (Brexit Withdrawal Agreement), rubricato “Competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni giudiziarie e relativa cooperazione tra autorità centrali”, non è applicabile il regolamento (UE) n. 1215/2012. Il procedimento è stato, infatti, promosso dopo la fine del periodo di transizione del 31 dicembre 2020, previsto dall’art. 126 del Brexit Withdrawal Agreement.

La giurisdizione italiana sussiste, quindi, nei seguenti casi:

– se il convenuto è domiciliato o residente in Italia o ivi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio ex art. 77 c.p.c. e negli altri casi previsti dalla legge, a norma dell’art. 3, comma 1, della legge n. 218/1995;
– in base ai criteri previsti nelle sezioni 2, 3 e 4 del Titolo II della Convenzione di Bruxelles, richiamata dall’art. 3, comma 2, della medesima legge, e “anche allorché il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di una delle materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione”.

Per accertare la competenza giurisdizionale, la Corte di cassazione è “chiamata ad operare come giudice anche del fatto … nei limiti in cui ciò risulti necessario … (Cass. Sez. Un., n. 156/2020; n. 1717/2020; n. 5830/2022)”, in virtù delle “risultanze delle prove raccolte” e non “in base ad una mera ipotesi non accertata (Cass, Sez. Un, n. 103/1954; Cass. n. 2004/1974)”, tenuto conto di petitum sostanziale e causa petendi dedotti e “con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (da ultimo, Cass. Sez. Un., n. 6001/2021)”.

Non è stata fornita la prova dell’esistenza di “un luogo di domicilio diverso da quello coincidente con la residenza anagrafica (art. 43 cod. civ.)”, avendo valore presuntivo il certificato, prodotto in causa dalla convenuta, dal quale si evince che quest’ultima (iscritta all’A.I.R.E.) è residente, anche fiscalmente, in Londra, e considerato, altresì, che, nella medesima città, presso il Consolato Italiano, è stata eseguita la notifica dell’atto di citazione.

E’ dunque irrilevante l’assunto dell’attore, secondo cui la convenuta svolgerebbe l’attività imprenditoriale in Italia, tramite le proprietà immobiliari e le partecipazioni societarie detenute e, di conseguenza, sarebbe ivi domiciliata.

La competenza giurisdizionale spetta, invece, al giudice italiano, in forza dell’art. 5 n. 1 della Convenzione di Bruxelles, richiamato dall’art. 3, comma 2, della legge n. 218/1995, quale giudice del luogo dove sarebbe stata eseguita l’obbligazione dedotta in giudizio.

Invero “il criterio appropriato per individuare il giudice avente la giurisdizione sulla domanda, di norma, è da ritenere quello della sede che il professionista ha al momento in cui riceve l’incarico, che è il luogo in cui egli elabora le prestazioni che si rendono di volta in volta necessarie nell’interesse del cliente”.

Al riguardo, l’attore ha asserito di aver ricevuto il mandato e di aver svolto l’attività professionale presso il proprio ufficio, sito in Roma.

Non è applicabile la disciplina in tema di contratti con i consumatori, invocata dalla convenuta.

Per poter escludere di aver operato nell’ambito delle attività di “imprenditore commerciale”, la convenuta avrebbe dovuto dimostrare di aver stipulato il contratto “per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio delle dette attività (cfr. Cass., 5/5/2015, n. 8904; Cass., 4/11/2013, n. 24731; Cass., 18/9/2006, n. 20175. Cfr. altresì, con riferimento alla fideiussione, Cass., 15/10/2019, n. 25914)>> (Cass. n. 6578/2021)”. Infatti, “la nozione di “consumatore”, ai sensi dell’art. 2, lett. b), della direttiva 93/13, ha un carattere oggettivo (v. sentenza Costea, C0110/14, EU:C:2015:538, punto 21) e deve, quindi, essere valutata alla luce di un criterio funzionale volto ad analizzare se il rapporto contrattuale in esame rientri nell’ambito delle attività estranee all’esercizio di una professione, spettando al giudice nazionale, investito di una controversia relativa a un contratto idoneo a rientrare nell’ambito di applicazione di tale direttiva, verificare, tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie e di tutti gli elementi di prova, se il contraente in questione possa essere qualificato come “consumatore” ai sensi della suddetta direttiva (v., in Ric. 2018 n. 31844 sez. M1 ud. 03-12-2019 -4- tal senso, sentenza Costea, C110/14, EU:C:2015:538, punti 22 e 23)”.

Inoltre, mancano i presupposti richiesti dall’art. 13, n. 3, lettere a) e b) della Convenzione di Bruxelles, vale a dire:

– la conclusione del contratto preceduta da una proposta specifica o da una pubblicità nello Stato in cui il consumatore ha il proprio domicilio;
– il compimento in tale Stato, da parte del consumatore, degli atti necessari per la conclusione del contratto.

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