Le Sezioni Unite sul riconoscimento di sentenze straniere adottate nel quadro della Convenzione dell’Aja del 1996 sulla protezione dei minori

by Susanna Marta

Corte di Cassazione, sez. un., sentenza 26 giugno 2023, n. 18199 – ECLI:IT:CASS:2023:18199CIV

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza 26 giugno 2023, n. 18199, hanno chiarito che, in riferimento alla giurisdizione e legge applicabile in materia di protezione dei minori, la normativa applicabile è la Convenzione dell’Aja del 18 ottobre 1996 e, pertanto, le condizioni sostanziali di riconoscimento delle misure di protezione dei minori disposte dalla giurisdizione straniera sono fissate dal relativo art. 23, e non dall’art. 64 della legge 31 maggio 1995, n. 218 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, mentre il procedimento del riconoscimento innanzi al giudice italiano resta disciplinato, come previsto dall’art. 24 della medesima Convenzione, dalla legge italiana. Le Sezioni Unite giungono a questa conclusione non già facendo applicazione dell’ordine di esecuzione della Convenzione in Italia, contenuto nella legge 18 giugno 2015, n. 101 – a cui libera il campo l’art. 2 della legge n. 218/1995 – ma pretendendo di assegnare una lettura evolutiva all’art. 42 della legge n. 218/1995 (che dispone, come noto, un “rinvio in ogni caso”).

I fatti
Il procedimento trae origine dalla domanda avanzata da una cittadina russa di riconoscimento ed esecuzione in Italia, ai sensi dell’art. 67 della legge n. 218/1995, della sentenza del 13 giugno 2019 con cui il Tribunale di Butirsky-città di Mosca (Federazione Russa) le aveva affidato i due figli minori, determinando la residenza dei minori e stabilendo l’orario di visita del padre, cittadino italiano.

La Corte d’appello di Bologna – sulla premessa che la norma regolante la giurisdizione in Italia era quella della residenza abituale del minore, come previsto dall’art. 8 del regolamento (CE) n. 2201/2003 (ratione temporis applicabile al caso di specie) – rigettava l’istanza di riconoscimento, ritenendo che nel caso di specie (i) la residenza abituale dei minori fosse quella italiana e che, dunque, non essendo la Federazione Russa lo stato di residenza abituale (ii) mancasse  il presupposto di cui all’art. 64, lett. a), della legge n. 218/1995, in virtù del quale la sentenza straniera può essere riconosciuta in Italia, senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento, quando il giudice che l’ha pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell’ordinamento italiano.

La Corte d’appello riteneva irrilevante la condotta processuale del padre che, pur costituitosi nel procedimento innanzi all’autorità giudiziaria russa, non aveva in quella sede eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adito, sulla base del principio di diritto emanato dalle stesse Sezioni Unite, con la sentenza 28 ottobre 2015, n. 21946, secondo cui “in tema di riconoscimento di sentenze straniere, ai sensi della L. n. 218 del 1995, i vizi (tra cui il difetto di competenza giurisdizionale, secondo i principi propri dell’ordinamento italiano, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 64, comma 1, lett. a) che, se tempestivamente dedotti avanti al giudice straniero, avrebbero inficiato il giudizio, non possono essere fatti valere, per la prima volta, davanti al giudice italiano“, posto che se anche il padre avesse eccepito il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria della Federazione Russa, avrebbe visto respinta la sua eccezione, perché l’autorità giudiziaria della Federazione Russa non era tenuta ad applicare tale regolamento. Pertanto, non riteneva che per lo stesso fosse  preclusa la possibilità di sollevare la corrispondente eccezione, per la prima volta, innanzi al giudice italiano.

Avverso tale decisione la madre proponeva ricorso per cassazione e la prima sezione civile, con ordinanza interlocutoria del 28 novembre 2022 n. 34969 (su cui si vedano questo post e questo post) – con cui si dava evidenza di come fosse inibita alla Corte d’appello la valutazione circa il profilo della giurisdizione sulla base di un’eccezione che poteva essere proposta dalla parte ritualmente costituitasi, non potendosi far dipendere la possibilità di eccepire innanzi al giudice italiano l’eccezione di difetto di competenza giurisdizionale del giudice straniero dal fatto che, davanti a quest’ultimo, l’eccezione non sarebbe stata accolta –  rimetteva il ricorso al Primo Presidente, per l’eventuale sua assegnazione alle Sezioni Unite affinché le stesse stabilissero “se, nell’ambito del riconoscimento in Italia dell’efficacia di una sentenza straniera, la parte ivi convenuta, che si sia ritualmente costituita nel giudizio svoltosi innanzi al giudice dello Stato di origine, senza sollevare, in quella sede, alcuna eccezione circa la carenza della ‘competenza giurisdizionale’ di quest’ultimo, possa ancora formulare una siffatta eccezione innanzi al giudice della invocata delibazione, oppure se la stessa possa essere sollevata d’ufficio da quest’ultimo”.

Il ricorso è stato quindi assegnato alle Sezioni Unite.

Premessa: l’equivoco interpretativo

Nell’affrontare la questione sopra evidenziata, le Sezioni Unite chiariscono in via preliminare che il principio di diritto da cui prende le mosse l’ordinanza interlocutoria non è mai stato enunciato dalle richiamate Sezioni Unite n. 21946/2015, ma che, contrariamente a quanto affermato, esso è stato dedotto estrapolandolo da un’articolata motivazione di Cass. n. 8588/2003 in punto inammissibilità del motivo di ricorso ove è stato affermato che in tema di riconoscimento di sentenze straniere, ai sensi della legge n. 218 /1995, i vizi, tra cui il difetto di giurisdizione, che se tempestivamente eccepiti nel giudizio straniero avrebbero invalidato la sentenza, non possono essere fatti valere, per la prima volta, innanzi alla Corte di cassazione italiana.

Di detto principio veniva invocata l’applicazione da parte dei ricorrenti nel giudizio innanzi alle Sezioni Unite (2015) e queste si sono limitate a negarne l’applicabilità, limitandosi ad osservare che “anche là dove i convenuti (la Repubblica Islamica dell’Iran e il Ministero dell’informazione e della sicurezza dell’Iran) avessero partecipato al giudizio dinanzi alla Corte distrettuale per il Distretto della Columbia, il difetto di giurisdizione del giudice statunitense non avrebbe potuto essere utilmente eccepito”, nell’escludere tuttavia che l’eccezione fosse stata sollevata tardivamente dai convenuti, rimasti contumaci dinnanzi al giudice statunitense.

Concludono, pertanto, le Sezioni Unite che allo stato non vi è un principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, nel senso indicato nell’ordinanza di rimessione, né tanto meno un principio che possa assurgere alla dignità prevista dal comma 2 dell’art. 374 c.p.c.

La pronuncia

Premesso quanto precede, le Sezioni Unite definiscono la normativa applicabile al caso di specie, individuando, senza dubbio alcuno, la Convenzione dell’Aja del 1996. L’applicabilità della Convenzione dell’Aja del 1996, tuttavia, non è fatta derivare dall’ordine di esecuzione della Convenzione (oggetto della legge 18 giugno 2015, n. 101) e dallo spazio che le lascia l’art. 2 della legge n. 218/1995 ma, erroneamente, dall’art. 42 della stessa legge n. 218/1995 (il quale, operando un “rinvio in ogni caso”, prevede che “la protezione dei minori è in ogni caso regolata dalla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961”), altresì verificando che essa sia succeduta alla Convenzione dell’Aja del 1961 (Cass. 22828/2019), ratificata sia dall’Italia che dalla Federazione Russia.

In relazione al riconoscimento delle sentenze straniere, due sono le norme rilevanti della Convenzione dell’Aja del 1996:

  • l’art. 23 che, premesso il riconoscimento di pieno diritto della misura adottata dall’autorità di uno Stato parte negli altri Stati contraenti, prevede, fra le condizioni ostative del riconoscimento, che la misura sia stata adottata da un’autorità la cui competenza non era fondata in base alle disposizioni convenzionali sulla competenza (si consideri che l’art. 5 della medesima Convenzione attribuisce la competenza ad adottare le misure di protezione alle autorità, sia giudiziarie che amministrative, dello Stato contraente di residenza abituale del minore);
  • l’art. 24, senza pregiudizio all’art. 23, aggiunge che “ogni persona interessata può chiedere alle autorità competenti di uno Stato contraente che si pronuncino sul riconoscimento o il mancato riconoscimento di una misura adottata in un altro Stato contraente. La procedura è regolata dalla legge dello Stato richiesto”.

In relazione all’art. 24, le Sezioni Unite evidenziano come da tale disposizione derivi che la legge dello Stato richiesto per il riconoscimento trova applicazione limitatamente alle norme che disciplinano la procedura (che quindi, in base alla legge applicabile ratione temporis, è per l’Italia il rito sommario di cognizione e, con l’entrata in vigore della riforma Cartabia dal 28 febbraio 2023, il rito semplificato di cognizione, con competenza della corte d’appello del luogo di attuazione del provvedimento straniero), mentre, per quanto riguarda i presupposti del riconoscimento, trova applicazione la disciplina convenzionale.

Tuttavia, quest’ultima non prevede, contrariamente all’art. 64 della legge n. 218 del 1998 (che viceversa consente il riconoscimento al mero ricorrere di determinati presupposti), requisiti costitutivi di efficacia, ma impone il riconoscimento di pieno diritto della sentenza straniera, a meno che non ricorrano determinate condizioni ostative, tra cui, appunto, quella secondo cui la misura giurisdizionale non è stata adottata dalla autorità giudiziaria dello Stato contraente di residenza abituale del minore.

Chiarito dunque il perimetro normativo di riferimento, le Sezioni Unite passano in rassegna i 4 motivi di ricorso, ritenuti tutti inammissibili/infondati, osservando, limitatamente a quanto rileva in questa sede, quanto segue.

Innanzitutto, le Sezioni Unite chiariscono che sebbene la ricorrente abbia invocato l’applicazione della Convenzione dell’Aja ed in particolare dell’art. 5, secondo paragrafo, il quale prevede che “in caso di trasferimento della residenza abituale del minore in un altro Stato contraente, sono competenti le autorità dello Stato di nuova abituale residenza”, tale censura è inammissibile in quanto fondata su di un presupposto di fatto non accertato dal giudice del merito, e cioè che la residenza abituale del minore fosse stata trasferita nella Federazione Russa, non sindacabile in sede di legittimità, anche alla luce del fatto che la ricorrente non ha impugnato l’ordinanza della corte territoriale sotto il profilo della violazione dell’art. 25 della Convenzione (che vincola l’autorità dello Stato richiesto del riconoscimento alle constatazioni di fatto sulle quali l’autorità dello Stato che ha adottato la misura ha fondato la propria competenza).

La Corte rileva dunque che il riconoscimento della sentenza straniera deve essere negato per essere stata emessa da autorità priva di competenza ai sensi dell’art. 23, paragrafo 2 lett. a), della Convenzione dell’Aja del 1996, in quanto non appartenente allo Stato contraente di residenza abituale dei minori.

Per quanto attiene al motivo di ricorso su cui verte l’ordinanza di rimessione, ovvero la asserita violazione dell’art. 64 lett. a) della legge n. 218/1995, la Corte non prende posizione sulla questione dell’accettazione tacita di giurisdizione e della decadenza dal proporre la relativa eccezione di incompetenza, che, pertanto, rimane aperta, limitandosi a chiarire che la fattispecie in analisi, sotto il profilo delle condizioni sostanziali di riconoscimento della sentenza straniera, è disciplinata dalla Convenzione dell’Aja del 1996, e non dall’art. 64 della legge n. 218/1995. Pertanto, la sentenza della corte bolognese è erroneamente motivata in diritto (benché sia conforme a diritto sul punto il dispositivo) nella misura in cui assume quale paradigma decisionale la consumazione del potere di eccepire l’incompetenza giurisdizionale per mancata sollevazione della relativa eccezione innanzi al giudice straniero.

In conclusione, viene enunciato il seguente principio di diritto per cui “ove … trovi applicazione la Convenzione dell’Aja del 18 ottobre 1996, le condizioni sostanziali di riconoscimento delle misure di protezione dei minori disposte dalla giurisdizione straniera risultano fissate dall’art. 23 della detta Convenzione, e non dall’art. 64 L. n. 218 del 1995, mentre il procedimento del riconoscimento innanzi al giudice italiano resta disciplinato, come previsto dall’art. 24 della medesima Convenzione, dalla legge italiana”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.