Il riconoscimento delle decisioni in Italia nel quadro del Trattato italo-brasiliano del 1989

by Marco Sposini

Cass., sez. un., ordinanza 10 luglio 2023, n. 19571, ECLI:IT:CASS:2023:19571CIV

Le sezioni unite della Corte di cassazione, con ordinanza 10 luglio 2023, n. 19571, hanno fornito alcuni chiarimenti nell’ambito del riconoscimento in Italia di una decisione resa in Brasile in materia civile, in forza del trattato relativo all’assistenza giudiziaria e al riconoscimento ed esecuzione delle sentenze in materia civile tra la Repubblica italiana e la Repubblica federativa del Brasile del 17 ottobre 1989.

Il procedimento

In data 5 luglio 2018, la Corte d’appello di Ancona dichiarava efficace ed esecutiva in Italia una sentenza del Tribunale di San Paolo del 14 settembre 2009, con cui era stata accolta la domanda di risoluzione di un contratto di distribuzione commerciale e di risarcimento del danno, originariamente proposta da una società brasiliana nei confronti di una società italiana. La richiesta di esecutorietàera stata formulata da un cittadino italiano, al quale – nel corso del giudizio in Brasile, su autorizzazione del giudice – l’attrice aveva ceduto i propri diritti derivanti dall’azione.

La società italiana – nella fase di opposizione – aveva eccepito la sussistenza di litispendenza e di continenza con altra causa (promossa avanti il Tribunale di Milano e finalizzata all’accertamento negativo delle medesime obbligazioni oggetto del giudizio brasiliano) e, in subordine, aveva chiesto la sospensione del procedimento di exequatur in Italia della sentenza del Tribunale di San Paolo ex art. 295 c.p.c.. Inoltre, aveva asserito che la pronuncia brasiliana non potesse essere riconosciuta in Italia, sia perché resa da un giudice privo di competenza giurisdizionale (avendo nel contratto le parti stipulato una clausola di scelta del foro, a favore del Tribunale di Milano, in via esclusiva), sia perché contraria all’ordine pubblico, essendo stata emessa condanna al risarcimento di danni morali e di ammontare abnorme, con natura punitiva.

La corte territoriale, in particolare, ravvisava che:

– in forza dell’art. 18 del trattato relativo all’assistenza giudiziaria e al riconoscimento ed esecuzione delle sentenze in materia civile tra la Repubblica italiana e la Repubblica federativa del Brasile del 17 ottobre 1989, il riconoscimento in Italia della sentenza del Tribunale di San Paolo sarebbe stato precluso solo qualora la competenza giurisdizionale fosse spettata al giudice italiano in via esclusiva, ai sensi della legge italiana;

– a norma degli artt. 4, 1° comma, e 7 della legge n. 218/95 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, la competenza giurisdizionale del giudice italiano non era esclusiva ma solo concorrente con quella del giudice brasiliano;

– vertendo la controversia su obbligazioni derivanti da un contratto da eseguirsi in Brasile, operava il criterio di collegamento dell’art. 5 della Convenzione di Bruxelles del 27 Settembre 1968 (richiamato dall’art. 3, 2° comma, della legge n. 218/95), idoneo a determinare la competenza giurisdizionale del giudice brasiliano ed a consentire il riconoscimento in Italia della pronuncia straniera;

– non vi era alcuna contrarietà all’ordine pubblico, in quanto la decisione brasiliana non si poneva in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento italiano.

La società italiana proponeva ricorso per cassazione, lamentando, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, lett. a), del trattato Italo-Brasiliano del 1989, nonché dell’art. 25 del regolamento (UE) n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I bis).

La ricorrente insisteva affinché – in presenza di clausola contrattuale di proroga della competenza a favore del giudice italiano – fosse dichiarato il diniego del riconoscimento in Italia della sentenza del Tribunale di San Paolo, per difetto di giurisdizione del giudice brasiliano.

La pronuncia

Il ricorso è stato accolto.

La Corte ha stabilito che, in forza dell’art. 18, lett. a), del trattato Italo-Brasiliano del 1989, le decisioni possono essere riconosciute da uno Stato all’altro solo in caso di effettiva sussistenza della competenza giurisdizionale in capo all’autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento del quale si chiede la delibazione.

Sulla base di tale premessa, la Suprema Corte ha ritenuto – a differenza della corte territoriale – che il rinvio di cui all’art. 3, 2° comma, della legge n. 218/95 alla Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 e “successive modificazioni in vigore per l’Italia” debba essere ora inteso al regolamento Bruxelles I bis, il quale ha sostituito il regolamento (CE) n. 44/2001 (“Bruxelles I”), che aveva, a sua volta, sostituito la Convenzione. Ciò “per dare attuazione ad un processo comunitario di uniformazione del diritto internazionale privato sia per le controversie intracomunitarie e che per le controversie denotanti elementi di estraneità rispetto all’Unione, perché collegati a Stati terzi” (in questo senso, tra le altre, Cass., sez. un., 25 giugno 2021 n. 18299, già oggetto di questo post).

Ne consegue che, se il convenuto non è domiciliato in uno Stato membro:

– a norma dell’art. 6,1° comma, del regolamento (UE) n. 1215/2012, la competenza delle autorità giurisdizionali di ciascuno Stato membro è disciplinata dalla legge di tale Stato, salva l’applicazione dell’art. 18, par. 1, dell’art. 21, par. 2, e degli artt. 24 e 25 (competenza in materia di contratti conclusi da consumatori; competenza in materia di contratti individuali di lavoro; competenze esclusive; proroga di competenza);

– a norma dell’art. 3, 2° comma, della legge n. 218/95, quando si tratti di una delle materie già comprese nel campo di applicazione della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, la giurisdizione italiana sussiste in base ai criteri previsti dal regolamento (UE) n. 1215/2012

È, pertanto, applicabile l’art. 25 del regolamento Bruxelles I bis, che – attribuendo primaria rilevanza all’autonomia privata, fermo restando i casi di competenze esclusive (v. considerando 19) – determina la proroga della competenza, a favore dell’autorità giurisdizionale o delle autorità giurisdizionali dello Stato membro scelto, da intendersi in via esclusiva, salvo diverso accordo tra le parti.

Nel caso di specie, la clausola di scelta del foro, a favore del Tribunale di Milano, in via esclusiva, nel contratto stipulato tra le parti “indica in modo chiaro ed univoco la scelta delle stesse di optare per la competenza giurisdizionale del foro Italiano” che “inequivocabilmente si configura come clausola di proroga in favore della giurisdizione (esclusiva) italiana”.

È, infatti, pacifico che la clausola con l’attribuzione della competenza di un “determinato giudice, appartenente ad un determinato Stato, deve intendersi normalmente intesa a conferire la giurisdizione esclusiva ai giudici appartenenti al sistema giurisdizionale di quello Stato” (Cass., sez. un., 11 aprile 2017 n. 9283).

Il giudice brasiliano “non aveva titolo per conoscere della presente causa”, cosìcché la sentenza del Tribunale di San Paolo non può essere riconosciuta in Italia.

La Corte ha, dunque, cassato l’ordinanza impugnata e ha rigettato la domanda di accertamento della riconoscibilità della sentenza brasiliana.

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