La Corte di giustizia dell’UE sulla competenza giurisdizionale in materia di divorzio, responsabilità genitoriale e obbligazioni alimentari

by Francesca Maoli


Corte di giustizia UE, sentenza 1° agosto 2022, causa C‑501/20, MPA c. LCDNMT– ECLI:EU:C:2022:619

Con la sentenza del 1° agosto 2022 (causa C-501/20), la Corte di giustizia si è pronunciata sulla disciplina della competenza giurisdizionale di cui al regolamento n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, nonché al regolamento n. 4/2009 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari.
La Corte, in particolare, si è soffermata sulla nozione di residenza abituale, e ha fornito indicazioni su interpretazione ed applicazione dei criteri di competenza residua di cui agli articoli 7 e 14 del regolamento n. 2201/2003, nonché sul forum necessitatis previsto dall’art. 7 del regolamento n. 4/2009.

I fatti

Il procedimento principale riguarda una famiglia composta da una cittadina spagnola, un cittadino portoghese e i loro figli minorenni. I genitori sono entrambi dipendenti della Commissione europea e svolgono la professione di
agenti contrattuali presso la delegazione UE in Togo, dove vivono dal gennaio 2015. La crisi della coppia, avvenuta nel luglio 2018, ha comportato l’allontanamento del padre dalla casa familiare.
Il 6 marzo 2019, la madre ha presentato, dinanzi al Juzgado de Primera Instancia e Instrucción n. 2 de Manresa (Spagna) una domanda di divorzio, unitamente ad ulteriori istanze relative alla determinazione del regime di
responsabilità genitoriale nei confronti dei figli, all’attribuzione di un assegno di mantenimento in favore di questi ultimi, nonché al godimento dell’alloggio familiare in Togo. Il giudice spagnolo, in accoglimento dell’eccezione presentata dal padre, ha declinato la propria competenza giurisdizionale dal momento che le parti non erano abitualmente residenti in Spagna al momento della presentazione della domanda giudiziale.
La madre, in sede di appello, ha contestato la dichiarazione di incompetenza, affermando che la determinazione della residenza abituale avrebbe dovuto tenere conto dello status diplomatico di entrambi i coniugi e della conseguente immunità dalla giurisdizione civile ai sensi dell’art. 31 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche. Di conseguenza, secondo la ricorrente, la residenza abituale avrebbe dovuto essere determinata in base a quanto previsto dall’art. 40, par. 2 del codice civile spagnolo, a mente del quale “il domicilio dei diplomatici residenti, per ragioni di servizio, in uno Stato diverso dalla Spagna, e che godono del diritto di extraterritorialità, è l’ultimo che essi hanno avuto in territorio spagnolo”. Il giudice del rinvio (Audiencia Provincial de Barcelona) ha quindi deciso di rivolgersi alla Corte di giustizia UE, attraverso la proposizione di sei articolate questioni pregiudiziali: la Corte ne ha affrontato solo alcune.

La pronuncia
a) la residenza abituale del coniuge o del creditore di alimenti

Con il primo quesito, il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte di stabilire se lo status di agenti contrattuali dell’Unione europea in uno Stato terzo incide (quale elemento determinante) sull’accertamento della residenza abituale dei coniugi ai sensi dell’art. 3 del regolamento n. 2201/2003 e dell’art. 3 del regolamento (CE) n. 4/2009.
La Corte ricorda innanzitutto che la determinazione della residenza abituale di un coniuge (di cui all’articolo 3, par. 1, lett. a) del regolamento n. 2201/2003) e della residenza abituale del convenuto o del creditore di alimenti (di cui all’art. 3, par. 1, lettere a) e b) del regolamento n. 4/2009) sono caratterizzate, in linea di principio, da due elementi comuni. Da un lato, occorre valutare la volontà dell’interessato di fissare il centro abituale dei suoi interessi in un luogo determinato; dall’altro lato, è necessario verificare che la presenza denoti un grado sufficiente di stabilità nel territorio dello Stato membro interessato. Con riferimento alla residenza abituale del coniuge, si tratta di elementi già valorizzati dalla Corte nella precedente sentenza IB (causa C-289/20, punti 51 e 57). Per quanto riguarda la determinazione della residenza abituale ai sensi del regolamento n. 4/2009, la Corte sottolinea l’obiettivo di garantire una certa prossimità tra il creditore di alimenti (considerato la parte debole del rapporto) e il giudice competente, nonché il rapporto stretto che intercorre tra il regolamento e il Protocollo dell’Aja del 23 novembre 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari (si veda, al riguardo, la sentenza WJ, causa C-644/20, punti 63-66).
È alla luce dei sopracitati elementi che la Corte esamina la fattispecie posta alla sua attenzione, rilevando che i coniugi si sono trasferiti in Togo dal febbraio 2015 e vi risiedono tutt’ora. Per contro, sembra che il padre dei minori non abbia mai risieduto abitualmente in Spagna. La madre, dal canto suo, sostiene di aver mantenuto la propria residenza abituale nel territorio di detto Stato membro, nonostante il suo impiego come agente contrattuale dell’Unione nel territorio di Stati terzi a partire, quantomeno, dall’agosto 2010. Ferme restando le necessarie verifiche da parte del giudice del rinvio, la Corte di giustizia invoca in modo persuasivo l’applicazione del criterio della residenza abituale secondo un approccio fattuale, già ricostruito ed impiegato in numerose pronunce. Coerentemente con tale approccio, la Corte rigetta l’interpretazione giuridica che si fonda sullo status diplomatico dei coniugi. Infatti, anche a voler confermare il godimento di tale status da parte dei soggetti coinvolti (elemento che, invero, risulta ancora dubbio nel
procedimento a quo), questa circostanza “non avrebbe tuttavia alcuna incidenza sull’interpretazione della nozione di ‘residenza abituale’, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 2201/2003 e dell’articolo 3, lettere a) e b), del regolamento n. 4/2009” (punto 62 della sentenza in commento). Lo status diplomatico posseduto dai genitori, oltre a non incidere sulla loro residenza abituale, non influenza di conseguenza nemmeno la determinazione della residenza abituale dei figli minorenni ai sensi dell’art. 8 del regolamento n. 2201/2003.

b) La residenza abituale del figlio minorenne

Un ulteriore quesito posto dal giudice del rinvio riguarda la determinazione della residenza abituale di un soggetto minorenne (ex art. 8 del regolamento n. 2201/2003). In particolare, ci si chiede se in tale determinazione possano tenersi in considerazione elementi quali la cittadinanza della madre e la residenza di quest’ultima prima della celebrazione del matrimonio, ovvero la cittadinanza dei figli e lo Stato di nascita. Al riguardo, la Corte di giustizia conferma i propri precedenti arresti e richiama innanzitutto la necessità di interpretare le disposizioni del regolamento in funzione dell’interesse superiore del minore e del criterio di vicinanza. In particolare, per stabilire se un minore è abitualmente residente in uno Stato membro occorre quantomeno verificare che sia stato fisicamente presente in detto Stato. Inoltre, è necessario che tale presenza non sia (o sia stata) in alcun modo temporanea od occasionale e che essa denoti una certa integrazione del minore di cui trattasi in un ambiente sociale e familiare.
Da questi elementi, ne consegue l’impossibilità di prendere in considerazione elementi come la cittadinanza della madre o la residenza di quest’ultima precedente alla celebrazione del matrimonio o alla nascita dei figli. D’altra
parte, il fatto che un soggetto minorenne sia nato nel territorio di uno Stato o vi possieda la cittadinanza possono costituire circostanze rilevanti. Tuttavia, gli elementi da ultimo citati non possono assumere carattere determinante ai fini della determinazione della residenza abituale, la quale si fonda innanzitutto sulla presenza fisica, sulla stabilità del soggiorno e sul livello di integrazione nell’ambiente sociale e familiare.

c) La competenza residua di cui agli articoli 7 e 14 del regolamento

Il quarto quesito posto alla Corte di giustizia riguarda l’ipotesi in cui nessuno Stato membro risulti competente a decidere su una domanda di scioglimento del vincolo matrimoniale (in forza degli articoli da 3 a 5 del regolamento n. 2201/2003) o su una domanda in materia di responsabilità genitoriale (in base ai criteri di cui agli articoli da 8 a 13 del medesimo regolamento). In tal caso, il giudice del rinvio si interroga sulla corretta applicazione, rispettivamente, dei fori previsti agli articoli 7 e 14, i quali determinano due diversi regimi di competenza residua.
L’art. 7 prevede l’applicabilità dei criteri di competenza previsti dal diritto nazionale qualora nessun giudice di uno Stato membro risulti competente in base alla disciplina sulla giurisdizione prevista per la materia matrimoniale. Tuttavia, come ricorda la Corte, la norma deve essere letta alla luce dell’art. 6, par. 1, lett. b) del regolamento, come interpretato nella sentenza Sundelind Lopez (causa C-68/07). In base alla disposizione da ultimo citata, il convenuto che ha la residenza abituale in uno Stato membro o che è cittadino di uno Stato membro può essere citato dinanzi ai giudici di un altro Stato membro solo in forza degli articoli da 3 a 5 del regolamento. Ne consegue che, in tali ipotesi, i criteri di competenza hanno carattere esclusivo e impediscono l’applicazione delle norme sulla competenza residua
previste dal diritto nazionale. Nel caso di specie, a fronte della cittadinanza portoghese del convenuto (il padre), il risultato è che le autorità spagnole non possono fare ricorso alla propria legge interna per fondare la propria competenza relativamente allo scioglimento del vincolo coniugale. Allo stesso tempo, osserva la Corte di giustizia, l’art. 6, par. 1, lett. b) del regolamento non osta a che le autorità giurisdizionali dello Stato membro di cui il convenuto è cittadino (in questo caso, il Portogallo) siano competenti a conoscere della domanda di scioglimento del vincolo matrimoniale, in applicazione delle norme nazionali sulla competenza di tale Stato membro.
Un ragionamento differente riguarda, invece, l’interpretazione dell’art. 14 del regolamento n. 2201/2003, recante il regime di competenza residua in materia di responsabilità genitoriale. In tal caso, qualora nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro sia competente in base al regolamento, è fatta salva l’applicazione dei criteri di competenza giurisdizionale previsti dal diritto nazionale. In tali ipotesi, è ben possibile che l’attribuzione della
competenza non segua il principio della vicinanza che ispira l’impianto normativo europeo: questo può accadere, ad esempio, quando il criterio adottato sia quello della cittadinanza del minore, la quale può non coincidere con la cittadinanza di uno o di entrambi i genitori. In tal caso, il genitore convenuto nel procedimento in materia di responsabilità genitoriale può essere chiamato dinanzi alle autorità giurisdizionali di uno Stato diverso da quello di cittadinanza: l’art. 14 – diversamente da quanto accade per la materia matrimoniale – non osta a che questo accada.
Quale ulteriore conseguenza, le domande in materia di scioglimento del vincolo coniugale e quelle relative alla responsabilità genitoriale potrebbero essere decise dalle autorità giurisdizionali di Stati diversi. Questa frammentazione, secondo la Corte di giustizia, non determina necessariamente una compressione del superiore interesse del minore: da un lato, il regolamento prevede meccanismi per ricondurre la domanda in materia di responsabilità genitoriale dinanzi al giudice chiamato a decidere sullo scioglimento del vincolo coniugale (il riferimento è, in particolare, all’art. 12); dall’altro lato, la normativa europea non esclude a priori la trattazione separata delle due questioni.

d) Il forum necessitatis in materia di obbligazioni alimentari


Relativamente alla domanda relativa all’assegno di mantenimento in favore dei figli, il giudice del rinvio chiede alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla corretta interpretazione del forum necessitatis previsto dall’art. 7 del
regolamento n. 4/2009, per l’ipotesi in cui nessuna delle parti del procedimento abbia la residenza abituale in uno Stato membro.
La Corte osserva che la disposizione in esame, di natura eccezionale, pone quattro condizioni cumulative. Il giudice del rinvio deve verificare che: a) nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro è competente ai sensi degli articoli da 3 a 6 del regolamento; b) la controversia di cui è investita possiede uno stretto collegamento con uno Stato terzo; c) il procedimento di cui trattasi non può ragionevolmente essere intentato o svolto, oppure è impossibile, in tale Stato terzo; d) la controversia presenta un collegamento sufficiente con lo Stato membro dell’autorità giurisdizionale adita.
Relativamente al requisito sub a), si precisa che il giudice adito ha l’onere di verificare che nessuna autorità giurisdizionale di nessuno Stato membro sia competente in base ai criteri ordinari previsti dagli articoli da 3 a 6 del
regolamento. Si tratta di una verifica più estesa rispetto al mero controllo della propria competenza giurisdizionale, nonché rispetto alla constatazione che il convenuto o il creditore di alimenti risiedono abitualmente in uno Stato
terzo. In particolare, qualora il giudice di uno Stato membro fosse competente a decidere sulla domanda in materia di responsabilità genitoriale (secondo quanto affermato in precedenza ed in base ai criteri di competenza residua richiamati dall’art. 14 del regolamento n. 2201/2003), potrebbe trovare applicazione il criterio di competenza accessoria di cui all’art. 3, par. 1, lett. d) del regolamento n. 4/2009.
Rispetto al requisito sub b), tra gli elementi che dimostrano uno stretto collegamento tra la controversia e uno Stato terzo, la Corte di giustizia pone la circostanza per cui tutte le parti del procedimento risiedono abitualmente nel paese in questione. È infatti ragionevole ritenere che, in linea di principio, le autorità giurisdizionali del luogo di residenza abituale del (minore) creditore e del debitore di alimenti siano nella posizione migliore per valutare la situazione.
Con riferimento al requisito sub c), l’impossibilità del procedimento può riguardare non solo le ipotesi richiamate in via esemplificativa dal considerando n. 16 del regolamento n. 4/2009 (come la guerra civile), ma in generale tutte le situazioni di diniego di giustizia, “qualora non ci si possa ragionevolmente aspettare che il richiedente introduca o prosegua un procedimento” in tale Stato terzo. Tuttavia, l’accertamento non può essere posto a carico del richiedente gli alimenti: quest’ultimo non ha l’obbligo di dimostrare “di aver intentato, o cercato di intentare, invano il procedimento di cui trattasi dinanzi ai giudici dello Stato terzo interessato”. Una richiesta di questo tipo sarebbe contraria all’obiettivo di tutelare il creditore di alimenti, di favorire la corretta amministrazione della giustizia e, nell’ipotesi di creditore minorenne, di salvaguardare il suo superiore interesse. Sarà, invece, l’autorità giurisdizionale adita a dover valutare gli elementi di fatto e di diritto del caso di specie, proponendo “un’analisi circostanziata delle
condizioni procedurali dello Stato terzo interessato, qualora l’accesso alla giustizia in tale Stato terzo sia, in diritto o in fatto, ostacolato, in particolare mediante l’applicazione di condizioni procedurali discriminatorie o contrarie
alle garanzie fondamentali dell’equo processo” (punto 110 della sentenza).
Infine, rispetto al requisito sub d), la Corte si limita a rilevare che un collegamento sufficiente con lo Stato membro dell’autorità giurisdizionale adita potrebbe essere costituito, in particolare, dalla cittadinanza di una delle parti.
A conclusione dell’analisi operativa del forum necessitatis, la Corte richiama l’attenzione sull’importanza dell’analisi operata dal giudice adito: si sottolinea come il fondamento della giurisdizione non possa essere costruito unicamente su “circostanze generali relative alle carenze del sistema giudiziario dello Stato terzo”, essendo anche e soprattutto necessario dare atto di un’analisi approfondita ed in concreto sulle conseguenze che tali circostanze potrebbero avere sul caso di specie.

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